PORTALE ITALIANO DI DIVULGAZIONE DELLA VITA E LE OPERE DI LEONARDO DA VINCI
COOKYE POLICY
In collaborazione con:
leonardodavinci-italy.com - all right reserved 2024 - divisione cultura, Sede legale: Milano Piazza IV Novembre 4, cap 20124 -P.IVA 11463490968 – CCIAA MI 90266 REA 2604702
Leonardo aspirante ingegnere
Qualcuno riporta che Leonardo da Vinci voleva diventare ingegnere, perché riteneva che tale preparazione desse quella gloria imperitura a cui aspirava, più volte citata nei suoi taccuini. La Fama come massima aspirazione dell‟uomo. Che solo gli stolti non desideravano. Lasciare un grande ricordo di se ai posteri. Che le conoscenze e le competenze di un”ingegnere” portassero alla fama imperitura, alla costruzione di monumenti grandiosi, spettacolari, eterni, che stupivano tutti per la difficoltà dell‟impresa.
Folgorato sicuramente dalla fama di un Filippo Brunelleschi considerato un eroe dai Fiorentini. Della sua gigantesca cupola a copertura della crociera del Duomo di Firenze “fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo”.
La più grande cupola in muratura del mondo di allora e in assoluto ancora tale. La grande e pesante sfera di bronzo dorato con sopra la croce, che vi era stata posta in cima. Commessa al Verrocchio – suo maestro – nel 1472 e sollevata ad oltre 110 metri di altezza con grandi difficoltà (di cui era stato testimone come ragazzo di bottega) lo hanno portato probabilmente allo studio ripetuto di svariati macchinari da sollevamento. Per superare forse quelli avanzatissimi per l‟epoca, usati dal Brunelleschi e dal Verrocchio.
I suoi studi sui cuscinetti a sfere, delle cinghie e della trasmissione del moto ed altro ancora. Anche il suo progettare e disegnare nei dettagli ciascun aspetto ed elemento dell‟elaborato, in visioni che adesso si definirebbero <esplose>, con la funzione - probabilmente - di spiegarne anche la esecuzione ad un eventuale costruttore ed a chiarirne il comportamento, indicano questa sua aspirazione ingegneristica. Sembra sua l‟invenzione (o il miglioramento) degli ingranaggi a denti, sempre per la trasmissione del moto.
Fonte: Marco Biffani
Nel 1482 il genio toscano “si invita”, con un’astuzia, alla corte del duca di Milano. Senza alcuna esperienza specifica, conquisterà una rispettabile competenza come artigliere.
Quando nel 1482, in pieno Carnevale, Leonardo di Ser Pietro da Vinci arriva a Milano con una piccola ambasciata fiorentina, non ha alcuna possibilità di farsi apprezzare per le sue competenze di ingegnere militare. L’esperienza nel campo delle armi dell’artista trovatore è alquanto ridotta. Forse, l’uomo d’ingegno ha assistito all’assedio di Colle Val d’Elsa, nel 1476, dove il duca d’Urbino aveva schierato le sue bombarde, ma, quasi certamente, conosce bene solo le macchine che sono state utilizzate per le ultime fasi della costruzione del duomo di Firenze. La lettera che indirizza a Ludovico il Moro, duca di Milano, nella quale presenta le sue referenze nel campo delle macchine da guerra è in effetti un bluff. Le sue conoscenze in tecnologia militare gli provengono da scambi con colleghi meglio informati di lui e dalla letteratura recente, specialmente dal trattato De re militari del 1482, di Roberto Valturio.
I carri falcati, le scale e torri d’assedio, le catapulte, i mangani e altre macchine da guerra, evocati nella lettera di candidatura, provengono da questa cultura. Se le scuole di ingegneri non esistono ancora, la Toscana del XV secolo dispone di laboratori dove alcuni fabbro-ferrai, fonditori e fucinatori sono capaci di inventare temibili apparecchiature d’assedio e dove effettuano esperimenti sull’artiglieria a polvere o sulle tecniche di mina.
Alcuni di questi uomini, come i senesi Mariano di Jacopo (detto Taccola, il Corvo, 1381-1432-1453) o Francesco di Giorgio Martini (1439-1502), sono stati già riconosciuti come professionisti della materia da grandi signori. È questo anche il caso del toscano Antonio di Pietro Averlino (1400-1469), detto il “Filarete”, che si era fatto assumere proprio a Milano.
Non solo la carriera di ingegnere appare credibile per qualcuno, come Leonardo, che si è formato in un laboratorio multifunzionale come quello di Andrea di Michele del Verrocchio, ma per di più risulta conveniente in un contesto in cui i Milanesi sono in guerra nella regione di Ferrara e dove sono obbligati a rinnovare le loro tecniche militari, alquanto obsolete. Le proposte di Leonardo su ponti mobili, solidi e leggeri e le armi balistiche classiche a torsione o a contrappeso rispondono, di fatto, a ciò che egli anticipa come richiesta. Sfortunatamente, gli ingegneri lombardi non attribuiscono alcun credito a questo nuovo arrivato, che ha appena vissuto a Firenze una crisi di creatività artistica a causa di una impossibile ambizione: realizzare una Adorazione dei Magi, diversa dalle altre, in un tempo limitato e con scarse risorse finanziarie.
Durante i primi mesi a Milano Leonardo è impegnato nell’attività di pittore per congregazioni religiose, ma tutto questo non gli impedisce di apprendere. I disegni del manoscritto che produce negli anni 1482-1490 dimostrano che ha acquisito una nuova cultura e un vocabolario da specialista nel campo della fortificazione e delle armi più svariate. Frequenta anche maestri d’arme e soprattutto il condottiero Pietro (Bourbon) del Monte, temibile uomo di guerra che aveva combattuto in Spagna e su numerosi campi di battaglia della penisola. Monte e Leonardo svolgono ricerche sulle armi antiche, le tecniche di combattimento tra fanteria e cavalleria, le tecniche di combattimento dei Lanzichenecchi tedeschi, ma, soprattutto, sulla balistica e la fisica, che sono alla base delle traiettorie delle palle di cannone. Entrambi si interrogano anche sulla natura fisica del rumore (suono) delle bombarde.
La bombarda
Il disegno originale, datato 1504, si trova sul foglio 33r del Codice Atlantico, presso la “ Biblioteca Ambrosiana ” di Milano.
Il disegno, uno splendido disegno, mostra l'intera sequenza di funzionamento di un'arma. La grande bocca e la forma del mortaio “BOMBARDA” è in grado di sparare grossi proiettili, che esplodono in aria, che rilasciano un gran numero di bombe più piccole che si diffondono in un'ampia area del campo di battaglia ed esplodono nuovamente trasformandosi in schegge più piccole, sono in grado di sconfiggere un gran numero di nemici. L'operazione è simile alle bombe a grappolo di oggi.
foglio 33r del Codice Atlantico, presso la “ Biblioteca Ambrosiana ” di Milano.
Balestra gigante
Si tratta di un'arma da lancio progettata da Leonardo da Vinci, come descritto nei disegni del Codice Atlantico (1488-1489).
Cosa sono le armi da lancio?
All'epoca di Leonardo vi erano i soldati Arbalestrieri, specializzati nell'uso della balestra, addestrati a mirare con precisione e a sparare proiettili con potenza e velocità. Erano spesso schierati in formazioni di arcieri per sostenere l'attacco principale delle truppe e svolgevano sia azioni tattiche offensive che difensive. Leonardo dunque immagina una balestra gigante, con braccia dell'arco di 24 metri, realizzate a sezioni lamellari, in grado di aumentarne l' elasticità e l'assorbimento della tensione di caricamento, per giungere ad una gittata considerevole. Era semovibile su ruote e sul terreno veniva trasportata da uomini in funzione del bersaglio da colpire.
Le corde di trazione erano annodate più volte su se stesse, questo per garantire maggior slancio e trazione nel caricamento e, solo dopo, un meccanismo di tiro, poteva essere sganciato dando vita alla traettoria del dardo.
I dardi micidiali erano in grado non solo di colpire un'intera squadra di soldati che intendevano attaccare o difendersi, ma anche colpire le strutture difensive mobili o fisse che riparavano le prime linee, creando una breccia e uno scompiglio generale.
Questa balestra gigante fu solio uno dei tanti progetti che non ebbe mai luce.
Il modello rappresenta una balestra gigante
Il carro armato
Il primo veicolo corazzato ad essere costruito e utilizzato in battaglia fu il "Trittico di Kulikovo", creato nel 1915 durante la prima guerra mondiale dalla Russia zarista. Questo veicolo era un trattore corazzato armato con mitragliatrici e protezioni in acciaio, ma era lento e poco manovrabile sul campo di battaglia.
Il primo carro armato moderno, chiamato "Mark I", fu sviluppato dal Regno Unito durante la prima guerra mondiale e fece il suo debutto sul campo di battaglia nel 1916 durante la battaglia della Somme. Il Mark I era un veicolo corazzato pesante, dotato di cingoli per superare terreni difficili e armato con cannoni e mitragliatrici, rivelandosi un'arma efficace contro le trincee nemiche.
400 anni prima, nel 1485, fu proprio Leonardo a creare un progetto e un disegno del primo carro armato coperto
di Leonardo o carro coperto, identificato nella storia come il primo carro armato al mondo.
Il progetto si trova in uno dei fogli conservati al British Museum, n. 1860-6-16-99. Nella parte inferiore del foglio si trovano due disegni, a sinistra il carro scoperto che mostra i meccanismi per il movimento e a destra la sua versione coperta a forma di testuggine. Nella parte superiore dello stesso foglio Leonardo disegnò un altro strumento di guerra, il carro falciante. Il disegno è poco più di uno schizzo dal quale si può comunque dedurre che doveva muoversi attraverso delle manovelle che mettevano in movimento le ruote.
Per segnalazioni su questa pagina clicca qui
Il progetto di Leonardo rappresenta un carro armato a forma di testuggine, di forma ovoidale, rinforzato con piastre metalliche, sormontato da una torretta interna di avvistamento e armato di cannoni disposti a 360°. Il movimento del carro doveva essere reso possibile attraverso l'azionamento di un sistema di ingranaggi collegato alle quattro ruote.
La direzione del fuoco poteva essere decisa dagli uomini posti nella parte alta del carro, da dove, attraverso delle strette fessure, potevano vedere il campo di battaglia.
Leonardo pensò anche di utilizzare dei cavalli per la forza motrice, ma ben presto decise di accantonarla in quanto l'idea di rinchiudere degli animali in uno spazio ristretto con il rischio che s'imbizzarrissero.
Errore di progettazione
Se distrazione o semplice inganno ( forse per non far capire a fondo il funzionamento), non lo sapremmo mai.
Resta il fatto che nel progetto Leonardo disegna le manovelle di controllo che, secondo i suoi appunti, si muovono in modo opposto rispetto agli ingranaggi interni di funzionamento, pertanto non avrebbero dato il movimento in avanti, ma indietro. E' più probabile pensare che Leonardo si era limitato a creare uno schizzo generale e che gli sarebbe servito per tornarci su più avanti, definendo nel dettaglio meccanico, tutti i passaggi necessari.
Argan Giovenale (progettista) - Catalogo collezioni (in it). Museoscienza.org. Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano
ll modello rappresenta un carro armato a forma di testuggine, rinforzato con piastre metalliche e aperto da un lato per poter vedere l'interno. È sormontato da una torretta interna di avvistamento e armato di cannoni. Il movimento del carro è garantito da otto uomini che azionavano dall'interno un sistema di ingranaggi collegato alle quattro ruote Funzione Il carro è pensato per portare panico e distruzione tra i nemici Modalità d'uso La direzione del fuoco poteva essere decisa dagli uomini posti nella parte alta del carro, da dove, attraverso delle strette fessure, potevano vedere il campo di battaglia.
Bombarda multipla navale
Il modello è costituito da una sezione di scafo di imbarcazione su cui è installato una torretta di artiglieria, composta da un disco rotante su cui sono disposte dodici bocche da fuoco (opposte a due a due) Funzione Il modello rappresenta una bombarda multipla ad uso navale Modalità d'uso Questo modello è pensato per essere posizionato sul ponte di una nave: dodici cannoni di modeste dimensioni, probabilmente già a retrocarica, sono montati simmetricamente su una piattaforma girevole e possono essere azionati da una persona sola. Le bomabrde sono disposte radialmente in modo da consentire il tiro simultaneo in opposizione, in modo tale che il rinculo successivo agli spari fosse riequilibrato e la nave non subisse pericolosi movimenti translatori e oscillatori. La presenza di più bombarde permetteva inoltre tiri in rapida successione
Tursini Luigi (progettista) - Catalogo collezioni (in it). Museoscienza.org. Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano.
Il cannone con trentatré canne
detto anche organo a trentatré canne, è un progetto di Leonardo da Vinci per un cannone a trentatré piccole bocche da fuoco ad avancarica, indicate in un foglio del Codice Atlantico assieme ad altri due cannoni.
Questo modello rappresenta una batteria di cannoni costituita da trentatré piccole bocche da fuoco ordinate in tre file da 11 ciascuna su unico telaio rotante. Il caricamento delle bocche da fuoco ad avancarica richiedeva tempo e precisione. Il soldato doveva inserire la polvere da sparo e il proiettile nella canna, compattandoli accuratamente per assicurarsi che l'arma fosse pronta per il fuoco. Questo processo poteva essere complicato in situazioni di combattimento, specialmente durante le battaglie ravvicinate.
sono fissate al telaio con una cerniera che ne permette la rotazione verso l'alto per il caricamento. Una vite senza fine è inserita nell'affusto.
Gli organi di guerra erano utilizzati principalmente durante gli assedi per bombardare le mura delle città nemiche o le fortificazioni difensive. La loro potenza di fuoco e il rumore assordante provocato dall'esplosione simultanea di tutte le canne li rendevano temibili strumenti d'assedio, capaci di infliggere danni significativi agli avversari.
Argan Giovenale (progettista) - Catalogo collezioni (in it). Museoscienza.org. Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano.
Il carro da battaglia fu per lungo tempo il terrore della semplice fanteria appiedata sui campi di battaglia. Dal panico che suscitavano i carri assiri che seminavano morte senza discriminazioni in Mesopotamia, passando per i leggendari mezzi minoici ed egizi raccontati in poemi eroici e religiosi, per finire con i carri leggeri romani comuni tra l'aristocrazia come mezzo di locomozione e mantenimento dell'ordine nelle proprie terre, i carri trasportanti truppe da lancio o muniti di armi aggiuntive per gettare il disordine e la paura nelle file avversarie hanno caratterizzato diversi secoli di storia bellica.
Da parte sua, Leonardo applicò le proprie capacità meccaniche alla realizzazione di un carro falcato dotato di un sistema di lame non solo collegato alle ruote, tipico di altri design tradizionali, ma anche di lame in rotazione orizzontale frontalmente al traino di cavalli, così da aprirsi letteralmente la strada tra i nemici, essendo questa macchina studiata in particolare per il taglio degli arti degli avversari, in modo da invalidarli se non ucciderli.
Era un antico carro da guerra a due o a quattro ruote, munito di lame taglienti su testa, timone, mozzi delle ruote e sponde. Lanciati a rapido galoppo da cavalli bardati, facevano strage del nemico.
Fu usato dai greci e dai popoli orientali sin da età antichissime. Riempirono del loro fragore i poemi omerici, furono largamente usati nell'antichità che va dalla prima apparizione degli elleni nella Tessaglia al ritorno dalla guerra di Troia, cioè, secondo la cronologia mitologica, dal 1400 a.C. al 1200 a.C. In Oriente i carri falcati furono usati soprattutto dagli egizi, dagli assiri e dai babilonesi e poi dai persiani. Ventisettemila ne aveva Ramses II, chiamato dai greci Sesostri, di cui il poeta Pentaur canta le prodigiose e terribili gesta.
Sedicimila carri falcati possedeva Nino, re degli assiri, quando mosse all'assalto della Battriana. Spetta però a Ciro II di Persia il vanto di aver fatto dei carri una vera arma, con propria organizzazione tattica, e fu proprio l'intervento dei carri falcati che decise le sorti della grande battaglia di Thymbra contro Creso re dei lidi, battaglia che dovette esercitare un'influenza risolutiva sulle sorti dell'Asia.
I romani, invece, non usarono quasi mai carri d'assalto, salvo poche eccezioni che, del resto, contro di loro servivano assai poco perché la disposizione delle truppe romane, con larghi vuoti tra l'uno e l'altro manipolo, neutralizzava in gran parte la potenza di distruzione dei carri stessi.
L'azione del carro falcato va avvicinata a quella degli elefanti, che ebbero largo impiego bellico da parte di Dario contro Alessandro Magno e fruttarono poi a Pirro la famosa vittoria.
Viene anche citato nella Bibbia.
In un mondo in cui le città avevano eretto possenti mura di difesa per respingere gli assalti di innumerevoli eserciti e bande di mercenari o irregolari, la catapulta risultava l'arma da assedio più comune.
Risalenti a molti secoli prima come idea, tuttavia le catapulte di Leonardo si caratterizzarono per il perfezionamento dei meccanismi di lancio. Nella sua concezione più avanzata, in esse inserì un doppio sistema di tensione azionato a manovella che poteva lanciare pietre e proiettili esplosivi a grandi distanze, risultando così fuori dalla portata delle armi dei difensori cittadini.
Spingarda
La spingarda è un'arma da fuoco antica, utilizzata principalmente nel XIV e XV secolo, che combina elementi delle balestre e degli archibugi. Era una sorta di arma di transizione tra le balestre tradizionali e gli archibugi più moderni.
Era costituita da una canna lunga, solitamente montata su una base o un treppiede, che veniva caricata con polvere da sparo e proiettili. A differenza degli archibugi, che venivano caricati dalla parte anteriore, la spingarda veniva caricata dall'estremità posteriore. Il tiratore premeva un grilletto per far scattare il meccanismo di accensione della polvere da sparo, causando l'esplosione e il lancio del proiettile.
Le spingarde erano spesso utilizzate come armi d'assedio o da difesa per sparare proiettili pesanti contro le mura dei castelli o le trincee nemiche. Erano anche impiegate per la caccia grossa e in alcune occasioni anche in campo di battaglia.
Nonostante la loro efficacia, le spingarde avevano dei limiti, inclusa la loro lentezza nel caricamento e la loro imprecisione rispetto agli archibugi successivi. Tuttavia, rappresentarono un passo importante nello sviluppo delle armi da fuoco e contribuirono alla transizione verso armi più avanzate nel corso dei secoli successivi.
Con l'invenzione della polvere da sparo e la costruzione di armi da fuoco, il termine passò ad indicare un pezzo leggero d'artiglieria che lanciava, al più, delle palle da cinque a sei libbre di peso, scendendo fino alle palle di sei once, e per la marina, anche di una sola oncia (sul tipo dello smeriglio).
Quelle più grandi erano fissate sopra cavalletti e trattenute con ceppi di legno. Quelle più piccole diventavano vere e proprie armi portatili e quasi manesche, come il fucile. Le grosse spingarde avevano un mascolo per mettervi la carica; le più piccole ne erano sprovviste, ed erano tutte di un sol pezzo come i cannoni. In ultimo furono anche chiamate archibusoni.
Le spingarde arrivarono a essere lunghe fino a 5 m e di calibro variabile da 21 a 82 mm.
Il Rinascimento fu il periodo storico in cui l'armamento leggero basato sulla polvere da sparo prese lentamente, ma inesorabilmente, il sopravvento sull'arma bianca come strumento da combattimento preferito dalla fanteria. Reparti di uomini a piedi ben disciplinati e armati con moschetteria potevano tenere testa ad avversari numericamente superiori o addirittura alla cavalleria pesante, le cui corazze era finalmente vulnerabili anche a distanza.
La necessità di produrre sempre maggiore volume di fuoco per contrastare la fanteria nemica portò alla progettazione in questo periodo di macchine belliche multicanna originali. La "mitragliatrice" di Leonardo (nota anche come Ribauldequin) prevedeva diverse varianti, con 10 o 12 cannoncini di piccolo calibro, e anziché alzare il rateo di fuoco, caratteristica principale delle mitragliatrici moderne, produceva un vero e proprio fuoco di sbarramento contro la fanteria nemica, generalmente disposta in linea per l'attacco con lancia o per il puntamento con le armi da fuoco leggere.
Nel modello leonardiano a ventaglio, la mitragliatrice aveva 12 canne con una caratteristica disposizione aperta che le attribuiva la denominazione e una manovella per cambiare l'alzo dell'arma, aumentandone o diminuendone la gittata.
Terrore di qualunque fanteria che ha calcato un campo di battaglia dopo l'invenzione del cannone, specialmente nel periodo napoleonico, la "mitraglia", cioè l'utilizzo di proiettili e frammenti di piccolo calibro in gran numero, sparati da bocche da fuoco di grande calibro per aumentare l'efficacia contro la fanteria, fu particolarmente studiata da Leonardo.
Finì col realizzare delle vere e proprie bombe "a grappolo" costituite da palle di cannone con un corpo principale di grandezza adeguata al calibro dell'arma, le quali una volta sparate e giunte a contatto col terreno, esplodevano rilasciando nell'area circostante microproiettili letali.
La naturale evoluzione della Ribauldequin fu il cannone di sbarramento o, per essere più precisi, la batteria di sbarramento, composta da più pezzi d'artiglieria di medio-grosso calibro.
Leonardo ce ne ha lasciato un progetto nel Codice Atlantico, modello a forma conica con ben 16 cannoni su postazione circolare che probabilmente doveva essere piazzata su alture o torri con funzioni di difesa del territorio circostante. Secondo altre interpretazioni, questo cannone di sbarramento avrebbe potuto essere anche impiegato in acqua come primo esempio di imbarcazione corazzata - piuttosto originale è il caso di dirlo - e armata con cannoni.
Leonardo, gran conoscitore dell'"arte" della costruzione di cannoni e armi pesanti, ebbe subito presente le enormi difficoltà che l'utilizzo di questi marchingegni rivoluzionari presentava in vere situazioni belliche.
Infatti, l'enorme peso dell'arma, unito alle condizioni di viabilità rinascimentali, rendevano il trasporto dell'artiglieria da parte della truppa particolarmente gravoso, limitandone l'efficacia, in quanto a volte non era nemmeno possibile averla sul campo di battaglia in tempo per lo scontro.
Per ovviare a tale problema, progettò un cannone che non solo fosse dotato di adeguate ruote per il trasporto, ma in cui si potesse separare la canna dall'affusto in maniera semplice per poi trasportarli separatamente e rimontarli perfettamente funzionanti dove fossero serviti.
Sempre in ambito di artiglieria, Leonardo progettò anche armi ad alzo variabile, per aumentare o diminuire la gittata, assolutamente rivoluzionarie per l'epoca.
Il desiderio di creare una macchina più pesante dell'aria capace di volare accompagnò Leonardo per buona parte della sua vita. Il primo schizzo di qualcosa che si avvicinasse al moderno elicottero risale al 1493, ma ci rimase sconosciuto fino al XIX secolo, quando venne ritrovato.
La forma della macchina avrebbe dovuta essere elicoidale, con l'"elica" realizzata in lino inamidato e messa in torsione da un meccanismo a vite che una volta rilasciato avrebbe dovuto permettere all'apparecchio di innalzarsi nell'aria con un volo a spirale.
Per quanto si sappia, questo progetto non fu mai messo in pratica da Leonardo che ebbe, comunque, ben chiari i vantaggi sul campo di battaglia del dominio dell'aria da parte di una delle due fazioni.
Al foglio 1058 del suo Codice Atlantico (presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano), Leonardo ci ha lasciato l'idea per un primo rudimentale paracadute. Esso, a differenza dei più moderni disegni del XX secolo, non era né a forma di cupola né rettangolare, ma piramidale. Questa piramide costituita da quattro triangoli equilateri di almeno dodici braccia di lato, circa sette metri nella conversione metrica attuale, era in lino e non possedeva nessuna apertura in sommità. Ciò, unito alla mancanza di tiranti direzionali degni di tale nome, rendeva questo paracadute particolarmente ingovernabile.
Perciò le parole dello stesso Leonardo, annotate sul codice, "se un uomo ha un padiglione di panno lino intasato, che sia di dodici braccia per faccia e alto dodici, potrà gittarsi d'ogni grande altezza senza danno di se" vanno prese cum grano salis. La ricostruzione del progetto è ora visionabile presso il Museo Nazionale della Tecnica e della Scienza di Milano.
Leonardo da Vinci scrisse che, a suo modo di vedere, l'uomo avrebbe potuto buttarsi da qualsiasi altezza senza farsi male se fosse stato dotato di una “tenda di lino” di 12 braccia di larghezza e 12 di profondità con le aperture tutte chiuse. La sua intuizione in futuro si sarebbe rivelata corretta.
In ambito bellico, l'acqua fu per lungo tempo il miglior mezzo di difesa contro gli eserciti nemici. Mari, fiumi o semplici fossati avevano un coefficiente difensivo molto alto, perché rallentavano notevolmente l'avanzata del nemico e nel caso di assalti alle mura consentiva alle truppe di difesa di respingere facilmente gli avversari, anche con l'utilizzo di armi, per così dire, speciali, come il famoso fuoco greco dei Bizantini, la miscela incendiaria capace di bruciare anche sull'acqua, segreto gelosamente custodito per secoli che rese la città di Costantinopoli praticamente inespugnabile giungendo dal mare.
Davanti a un tale problema, non c'è da stupirsi che Leonardo seppe produrre un'intera gamma di soluzioni differenti per risolverlo e permettere a uno o più uomini di attraversare gli ostacoli liquidi rimanendo al di sotto della superficie dell'acqua. Sempre nel Codice Atlantico troviamo infatti un primo abbozzo di campana subacquea, l'antesignano degli attuali sommergibili, in cui una struttura chiusa alla sommità permetteva di conservare all'interno una bolla d'aria per la sopravvivenza del suo "equipaggio" sott'acqua. Leonardo descrisse attentamente anche diverse altre soluzioni più leggere, avvicinabili alle attrezzature per palombari, con particolare attenzione per la struttura di tubi e pompe che dovevano fornire l'aria agli uomini impegnati in azioni sottomarine.
La vite aerea
è un progetto ideato da Leonardo da Vinci e descritto nel foglio 83v del Manoscritto B, redatto durante il suo primo soggiorno milanese.
In questo studio di vite aerea, Leonardo arriva a ipotizzare e formulare in anticipo di secoli l'efficacia trattativa dell'elica, concependo una struttura molto simile, ispirandosi alle forme della natura e dando corpo alle sue osservazioni sulle caratteristiche dell'aria. Nelle intenzioni dell'inventore, avrebbe dovuto "avvitarsi" nell'aria sfruttandone la densità similmente a quanto fa una vite che penetra nel legno.
Non vi è prova che Leonardo abbia effettivamente costruito la macchina da lui immaginata che rimarrebbe, quindi, una delle tante intuizioni teoriche della multiforme attività del celebre inventore.
Per molti anni è stata erroneamente presentata al pubblico come un "elicottero", sostenendo che il motore per farla girare fossero degli uomini e che fosse destinata a sollevarsi nell'aria come un velivolo per il trasporto umano.
Nel 2008, Mario Taddei studia e realizza la nuova interpretazione presente nella mostra Leonardo dal 2013 in Piazza della Scala a Milano, svelando il vero progetto di Leonardo. Alla base della struttura è infatti disegnata anche una molla, il vero motore della macchina, che peraltro è anche citata nella descrizione autografa dello stesso Leonardo sotto al disegno. Gli uomini, pertanto, facendo ruotare l'elica in un verso caricavano la molla fino a un punto di blocco. Dopodiché liberavano il blocco e la sola parte superiore della macchina, l'elica, si avvitava nell'aria, ruotando nella direzione opposta a quella di carica.
Nel 1881, lo schizzo della vite aerea di Leonardo venne posto all'attenzione dell'Accademia delle Scienze di Parigi da Gilberto Govi.
La macchina era costituita da una base circolare fissa inscritta in una corona mobile, a sua volta collegata a un albero di trasmissione verticale. Sull'albero è montata una struttura elicoidale rastremata verso l'alto, collegata tramite tiranti alla corona rotante della base.
La macchina era immaginata come una vite senza fine; nelle note che accompagnano il disegno, specifica le misure della base (8 braccia fiorentine, circa cinque metri) e i materiali: legno, corda e tela di lino inamidata. Doveva essere azionata dalla forza muscolare di quattro uomini che, per far ruotare l'albero, poggiavano i piedi sulla piattaforma centrale e, con le mani, facevano forza sulle rispettive barre.
Di esso, Leonardo scrisse:
«Trovo, se questo strumento a vite sarà ben fatto, cioè fatto di tela lina, stopata i suoi pori con amido, e svoltata con prestezza, che detta vite si fa la femmina nell'aria e monterà in alto.»