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LEONARDO DA VINCI E LA TAVERNA LE TRE LUMACHE

Per supplire agli scarsi introiti ricevuti dalle rare commissioni che Verrocchio gli concede, la sera va a lavorare come cameriere alla Taverna delle Tre Lumache sul Ponte Vecchio a Firenze.

 

1473, marzo- maggio

Leonardo lavora come cameriere presso la taverna  delle Tre lumache, in pontevecchio a Firenze.

 

Durante il Rinascimento, le taverne erano luoghi popolari dove la gente si riuniva per bere, mangiare, socializzare e talvolta anche per alloggiare. Le taverne potevano essere gestite da individui o famiglie che fornivano cibo, bevande e alloggio agli avventori.

 

Nelle taverne rinascimentali, il ruolo di  cameriere era assai importante in quanto prevedeva l'assistere i proprietari nell'amministrazione della taverna e nel servizio ai clienti. Le loro mansioni includevano la preparazione e il servizio di cibo e bevande, il mantenimento della pulizia del locale, l'accoglienza dei clienti e l'aiuto nella gestione delle transazioni finanziarie.

 

Potevano provenire da diverse estrazioni sociali, ma spesso appartenevano alle classi lavoratrici più basse. Il loro lavoro era essenziale per garantire un servizio efficiente e un ambiente accogliente per gli avventori della taverna.

Mentre le condizioni di lavoro nelle taverne potevano essere dure e il trattamento dei dipendenti non sempre equo, il lavoro di cameriere rappresentava comunque un'opportunità di guadagno per molte donne e uomini durante quel periodo storico.

 

 

Proprio alla taverna delle Tre lumache vi fu un episodio ancora oggi non del tutto chiaro: tutti i cuochi furono trovati avvelenati.

 

Va detto che L'avvelenamento nel Rinascimento era una pratica criminale diffusa e spesso difficile da individuare o provare, poiché i sintomi dell'avvelenamento potevano essere simili a quelli di altre malattie. Le sostanze velenose utilizzate variavano e potevano essere ricavate da piante, minerali o animali. Alcune delle sostanze velenose più comuni includevano l'arsenico, la cicuta, il veleno di digitale e il mercurio.

 

1^ ipotesi

Sembrerebbe che i cuochi fossero tre e solo uno era il bersaglio dell'avvelenamento, un certo “Masino di Figline ”, figlio di un artista del legno di che aveva avuto forti dissapori con un cliente per lavori non pagati e, quest'ultimo, avrebbe attentato alla vita del figlio. Questa informazione, però, non ci ha portato ad avere la certezza che sia andata effettivamente cosi. 

 

2^ ipotesi

Non vi fu nessun avvelenamento, piuttosto furono i cuochi a bruciare il locale e tentando di darsi alla fuga, furono intossicati dalle esalazioni del fumo prodotto dall'incendio che non riuscirono a controllare. Purtroppo anche questa rimane una teoria in quanto non abbiamo trovato traccia documentale.

 

Cosa si mangiava nelle locande fiorentine?

Le taverne e le osterie erano luoghi di incontro popolari per le persone di diverse classi sociali, compresi mercanti, artigiani, contadini, viaggiatori e altri. 

 

La città era animata da una vivace attività commerciale e culturale, e le taverne servivano come luoghi dove la gente poteva mangiare, bere, discutere di affari o politica, e socializzare.

Nelle taverne di Firenze, il cibo servito era solitamente semplice, nutriente e adatto a un'ampia gamma di clienti. 

Le taverne erano luoghi frequentati da persone di diversi ceti sociali, quindi il cibo doveva essere economico e soddisfacente per tutti. 

Le zuppe e gli stufati erano piatti popolari nelle taverne del Rinascimento. Potevano includere ingredienti come verdure, carne (come pollo, manzo o maiale), legumi e spezie.

Carne cotta lentamente in una salsa aromatica, spesso servita con pane per fare la scarpetta.

Formaggio e pane: Il formaggio e il pane erano alimenti base nella dieta quotidiana delle persone del Rinascimento e venivano spesso serviti nelle taverne come spuntino o accompagnamento ai pasti.

Prosciutto, salame, salsicce e altri insaccati erano spesso presenti nei menu delle taverne rinascimentali.

Venivano serviti piatti a base di pesce, come zuppe di pesce o pesci lessati, pescati nei fiumi e alcune volte provenienti dalle coste marittime della Toscana.

Piatti a base di verdure erano anche comuni, specialmente in periodi in cui la carne era costosa o non disponibile.

Frutta fresca, dolci a base di miele, crostate e torte semplici erano solitamente disponibili come dessert nelle taverne del Rinascimento.

 

 

Leonardo: da cameriere a capo cuoco

 

Dopo l'episodio del presunto avvelenamento, la proprietà della taverna decise di cambiare le cose e offrì a Leonardo, che si era dimostrato precedentemente un ottimo "serviente ", una nuova e più articolata mansione: quella di cuoco.

 

E' molto probabile che la scelta di puntare su Leonardo fosse dettata dalla sua capacità di relazionarsi con i clienti, ma anche per l'impegno che ci metteva come “ragazzo di fiducia”, sempre attento non solo ai tavoli, ma anche nel gestire il magazzino dove vi erano quarti di bue, salumi, olive,.. Insomma, un bravo serviente, un diligente magazziniere poteva ambire certamente a qualcosa di più.

 

Leonardo accetta questo nuovo incarico che sa perfettamente non sarà una passeggiata; lui infatti non si è mai cimentato in cucina anche perchè il suo lavoro durante il giorno è presso la bottega del Verrocchio per apprendere di pittura, di metalli e di incisioni e lavorare alle Tre lumache sarebbe solo un lavoretto in più, giusto per arrotondare il suo guadagno, visto che dal Verrocchio ,non essendo ancora famoso come artista, di grandi danari non ne arrivano!

 

La sua visione culinaria

ù è troppo eccitato dal suo nuovo incarico alle Tre Lumache da mesi ormai pensa ai grandi piatti del Rinascimento e a come "civilizzare" le rustiche pietanze servite alle Tre Lumache. Tuttavia, i clienti della taverna fanno un gran baccano quando Leonardo inventa e serve loro ciò che noi oggi chiameremmo nouvelle cuisine (minuscole porzioni accompagnate da deliziose formine intagliate nella polenta indurita), tanto che Leonardo è costretto a fuggire per salvarsi la pelle; e ritorna a lavorare alla bottega del Verrocchio. L'esperienza alle Tre Lumache ha notevoli conseguenze sulla mente indagatrice di Leonardo. Gli fa capire quanto sia dispendioso in termini di tempo e di lavoro preparare pietanze. E da questo momento in poi penserà sempre più a quelli che potremmo definire "gadgets risparmia-fatica" per la cucina. Comincia allora a scrivere le sue note, ed è abbastanza sorprendente rilevare come per molti dei suoi disegni  che per molti anni sono stati interpretati come macchine da guerra, Leonardo avesse pensato a tritacarne, lavatrici, schiaccianoci meccanici e cose del genere. 

 

Cos'è il De honesta e valetudine?

 

Si tratta di un ricettario stampato per la prima volta a Roma, in lingua latina nel 1474, poi a Venezia nel 1487 in italiano e, quindi, in tutta Europa. E’ stato tradotto in francese, tedesco e inglese.

Il De honesta voluptate et valitudine include ancora la tradizione di un ricettario di cucina del Quattrocento, ma colpisce la sua innovazione per il suo sorprendente e rivoluzionario modo di vedere e classificare cibi e preparazioni e di procedere a proposte di valorizzazione dei cibi stessi.

taverna delle tre lumache - Leonardo da Vinci
le tre lumache - Leonardo da Vinci

Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina è stato un umanista e gastronomo italiano che stampò per la prima volta il volume a Roma da Han tra il 1473 e il 1475 senza note tipografiche e in modo anonimo. Nel 1475 lo ripubblicò a Venezia aggiungendo le note e il suo nome. Trascrive in latino la maggior parte delle ricette originariamente scritte in lingua volgare da Maestro Martino, nel suo Manoscritto e lo colloca degnamente tra i punti di riferimento della letteratura gastronomica italiana che proprio tra il XIII e XIV secolo comincia a lasciare il suo segno tangibile, destinato a passare alla storia.

Nel suo trattato De honesta voluptate et valetudine (Il piacere casto e la salute), il Platina scrive: “Quale cuoco, o dèi mortali, può essere paragonato al mio Martino da Como, dal quale ho imparato la maggior parte delle cose che vado scrivendo?”.

Sacchi propone 250 piatti dal VI al X libro, la parte del testo che l’autore dedica alle ricette, ben 240 sono del Manoscritto di Martino, il Libro de arte coquinaria, composto dal 1450 al 1465.

 

Il Platina non si limita a una trasposizione delle ricette del Maestro Martino, ma propone un’opera di divulgazione che mette in risalto la complessità della scienza gastronomica e i problemi, a volte del tutto nuovi, che possono causare le sue applicazioni. Un gran comunicatore che astrae la ricetta rispetto alla sua destinazione pratica e la proietta in una prospettiva più ampia, filosofica e letteraria, in cui la traduzione in latino è complesso lavoro letterario e l’inquadramento del ricettario in un sistema di regole connesse al piacere della tavola è lavoro filosofico.

Presso il Museo storico etnografico Valle di Blenio erano esposte le due edizioni del 1513 e del 1530 del De Honesta Voluptate et Valetudine, il primo testo gastronomico stampato.

Per gentile concessione di Anton Mosimann, proveniente dalla sua straordinaria collezione di ricettari e menu: cinque secoli di storia culinaria.

 


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