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LEONARDO DA VINCI E LE CORPORAZIONI

A partire dal 1200 in Francia, Germania, Belgio e altri Paesi, vedono la luce le cosiddette corporazioni e Firenze non è da meno. Lo scopo delle Corporazioni è quello di dare un ordine e un regolamento alle molteplici attività commerciali e artigianali in fase di sviluppo,

 

Questa form di tutela dei mestieri aveva anche lo scopo di creare una forma libertaria e democratica delle arti, evitando di cadere nel monopolio organizzato delle famiglie eSignorie più potenti che potevano quindi creare e decidere i prezzi, stabilire i tempi di pagamento e scegliere i fornitori.

 

1150

Dal documento del catasto di Firenze risulta che la prima corporazione fu quella di Calimala, chiamata anche  ARTE DEI MERCANTI e prendeva il nome il nome dalla strada dove molti dei membri avevano la loro bottega. Si trattava per la maggior parte di importatori e lavoratori di panneggi di lana caprina e ovina, che trattavano e rivendevano a grossisti edirettamente alle famiglie benesranti dell'epoca. I Calimalai erano considerati il punto più alto del commercio in quanto molto ricchi, rispettati e molto autorevoli. 

 

1243

Le Arti Maggiori
vi furono già le sette corporazioni che rientrarono nella categoria delle Arti Maggiori, si erano costituite tra la seconda metà del XII secolo e la prima metà del XIII secolo, staccandosi progressivamente dalla corporazione “originaria” di Calimala.

1266 

la sede principale delle Arti Maggiori era ancora Calimala e in quell’anno venne deciso che queste società si organizzassero in modo ancora più stabile, ognuna con il proprio vessillo, sotto il quale radunare all’occorrenza il popolo in armi.

Gli iscritti a queste corporazioni si trovarono a gestire e ad amministrare grandi interessi e riuscirono a creare rapporti commerciali e finanziari in molte parti del mondo; il loro primato a livello economico li condusse entro la fine del Duecento alla guida della Repubblica Fiorentina, alla cui grandezza e splendore contribuirono significativamente dando il via a tutta quella serie di lavori pubblici che ancora oggi restano a testimoniare la ricchezza e la potenza della città.

Suddivisione fra Arti Maggiori e Arti Minori
Il sistema delle corporazioni era suddiviso in Arti Maggiori e Arti Minori: naturalmente le maggiori erano quelle che avevano una valenza più importante.

 

Si suddividevano perciò in ARTI MAGGIORI:

 

Arte dei Vaiai e Pellicciai 

Le botteghe di questi artigiani si concentravano soprattutto intorno all'odierna via Pellicceria; la lavorazione di queste materie pregiate era un'attività molto redditizia, dato che per secoli, certi tipi di pelliccia furono considerati simbolo di stato sociale o di rango politico, che foderavano o rivestivano gli abiti ed i copricapo degli appartenenti ai ceti più elevati, come il vaio o la pelliccia di lupo (quest'ultima distintiva per i Priori delle Arti).

Quasi tutte le pelli di maggior pregio provenivano dall'estero, per cui i pellicciai fiorentini importavano le pelli degli animali dall'Europa continentale e dal Medio Oriente; il vaio era fatto con il manto dello scoiattolo grigio e bianco tipico delle foreste della Bulgaria e della Russia e la sua caratteristica lavorazione, ottenuta alternando un dorso ed una pancia di questi animaletti, dava vita a quella che fu la pelliccia araldica per antonomasia, usata per guarnire sia mantelli che cappelli. Successivamente anche la pelliccia di ermellino venne impiegata come pezza araldica, bianchissima e dai caratteristici pois neri, oppure sempre come capo di abbigliamento estremamente costoso e ricercato, sul quale venivano cucite le code dell'animale come pendaglio. Scoiattoli ed ermellini non erano però gli unici animali da cui si ricavavano le pellicce; si cacciavano anche visoni, volpi, orsi, lupi e montoni e per chi non poteva permettersi di spendere tanto, le più economiche erano quelle di cane, di gatto o di coniglio.

 

Arte dei Mercanti (o di Calimala)

n questa sede i membri della corporazione si riunivano settimanalmente per discutere e regolamentare le loro attività e come tutte le Arti, ogni questione o intervento riguardante la condotta degli iscritti era riservata al Collegio dei Consoli, che dovevano avere almeno trent'anni, essere fiorentini e di parte guelfa; uno dei compiti primari dei consoli dell'Arte era quello di assistere tutti i suoi membri, ad esempio, aiutandoli nel caso in cui avessero dei crediti in sospeso da riscuotere o fossero stati truffati, sia a Firenze che all'estero, inviando dei messi a spese della corporazione presso i clienti insolventi; inoltre, l'Arte aveva previsto anche una sorta di pensione di anzianità per i soci che vi avessero prestato servizio per almeno sedici anni.

I tessuti che venivano acquistati nelle botteghe venivano tagliati con le forbici, secondo l'unità di misura lineare detta "canna di Calimala", una sorta di pertica corrispondente a 4 braccia, ossia 2 metri e 33 centimetri; le canne erano suddivise in unità più piccole, da mezza canna, un quarto ed un ottavo e sottoposte ad una verifica annuale da ispettori della corporazione; lo statuto stesso dell'Arte conteneva precise disposizioni a tutela dai clienti, in base alle quali le pezze dovevano essere distese sul banco della bottega con l'orlo ben in vista, segnate nel punto richiesto e tagliate senza “eccedenze”.

Gli appartenenti a quest'Arte erano quindi dei veri imprenditori, che svolgevano delle attività che oggi potrebbero essere definite di import-export; il grosso giro di affari e l'enorme quantità di denaro maneggiato la resero una delle Arti più potenti a Firenze e molto legata alle corporazioni “sorelle” dell'Arte del Cambio, l'Arte della Seta e l'Arte della Lana.

 

Arte dei Giudici e Notai

L'accesso per le nuove matricole non era semplice, perché per esercitare la professione era richiesto un lungo periodo di preparazione e studio, che soltanto le famiglie più ricche potevano permettersi. L'immatricolazione era innanzitutto subordinata alla verifica di certi requisiti personali e morali dei candidati: non erano infatti ammessi ebrei, chierici, figli illegittimi, insegnanti elementari, forestieri e per quasi tutto il XIII secolo, chiunque non si dichiarasse apertamente di parte guelfa. L'età minima per accedere all'Arte era di vent'anni, che poteva scendere a diciotto se si era figli di un giudice o di un notaio già iscritto. Le due carriere erano comunque ben distinte fin dal momento dell'iscrizione, per cui chi esercitava la professione di giudice o avvocato si impegnava categoricamente a non svolgere nessuna funzione riconducibile a quella del notaio e viceversa. Inoltre, le modalità di ammissione alla corporazione erano diverse per le due categorie; i giudici, essendo dottori in legge, dovevano semplicemente versare la tassa d'iscrizione, mentre ai notai era richiesto il superamento di tre severissimi esami per accertare la loro idoneità.
 

Arte della Seta ( o di Por Santa Maria)

Un primo nome con cui la si trova citata è quello di "Corporazione dei Baldrigai", ossia dei ritagliatori di panni, i cui membri si riunivano in una bottega presa in affitto in via Por Santa Maria.Come avveniva per i sottoposti all'Arte della Lana, anche coloro che lavoravano in questo settore dovevano rispettare le rigide norme previste dallo statuto; erano vietati, ad esempio, la vendita ambulante dei tessuti ed il lavoro notturno, per evitare che i lumi ad olio e le candele accese provocassero quegli incendi che ogni tanto distruggevano quartieri interi della città.

Un altro divieto assoluto imposto ai soci, in cambio di privative, fu per molto tempo quello di andare ad esercitare la propria attività al di fuori di Firenze, a meno di non aver ricevuto una previa autorizzazione dell'Arte; allo stesso modo i tintori fiorentini difesero i segreti relativi al loro mestiere per decenni, tramandandoseli di padre in figlio, finché nel Quattrocento venne redatto il celebre manoscritto oggi conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana, conosciuto come Trattato dell'Arte della Seta a Firenze, che descriveva tutte le varie fasi di lavorazione, così come venivano spiegate agli apprendisti nelle botteghe.
 

Arte del Cambio

L'Arte del Cambio ebbe sede nel 1324 in un palazzo dei Cavalcanti all'angolo nord-ovest tra via Porta Rossa e Calimala, poi dal 1352 in piazza della Signoria sotto la cosiddetta loggia dei Pisani, demolita nell'Ottocento durante il periodo di Firenze Capitale, dove oggi si trova il palazzo delle Assicurazioni Generali e pertanto adiacente a quella di Calimala. Un documento del 1429 ricorda tuttavia la residenza dell'Arte nel dado dei Lamberti, accanto a quella dell'Arte dei Medici e Speziali.L'attività del cambiatore si svolgeva in genere presso il mercato, dove seduto davanti al banco con la borsa appesa al collo (chiamata scarsella), annotava le transazioni avvenute giorno per giorno su di un apposito registro; il cambio di valute non era però l'unica occupazione dei membri iscritti alla corporazione, che in realtà traevano i guadagni maggiori dai prestiti a interesse e dal trasferimento di denari fuori Firenze, attraverso il sistema della cosiddetta lettera di cambio. 
 

Arte della Lana

La corporazione fu una tra le più potenti della città e sicuramente quella che contava il maggior numero di lavoratori, circa un terzo della popolazione fiorentina, già secondo lo storico Giovanni Villani e tanto che ancora nel Cinquecento, Machiavelli ne continuava a magnificare la grandezza. La manifattura tessile e laniera divenne quindi uno dei settori trainanti dell'economia cittadina insieme al commercio e alla finanza. I membri dell'Arte della Lana si comportarono sia da mercanti sia da imprenditori, acquistando la materia prima che poi veniva smistata tra le diverse categorie artigianali impegnate in un lungo processo di lavorazione per arrivare al prodotto finito, rivenduto nelle botteghe.

I lanaioli acquistavano la lana grezza sulle piazze estere europee o dell'Africa nord occidentale, che arrivava a Firenze imballata dopo aver compiuto un lungo viaggio a dorso di mulo; la materia grezza era sottoposta a un processo di trasformazione suddiviso in più di venti fasi, prima di ottenere i panni rifiniti, tinti e marchiati destinati alla vendita nelle botteghe.

 

Arte dei Medici e Speziali

L'Arte prevedeva la reggenza di sei consoli, un camerlingo, un notaio, dodici consiglieri, diciotto buonomini, sei statutari e tre ufficiali. I consoli venivano eletti 2 volte all'anno e si riunivano ogni settimana; anche il camerlingo, cioè il tesoriere, restava in carica per 6 mesi versando una quota di 300 fiorini d'oro per garantirne la sua affidabilità e onestà.

 

La tassa d'iscrizione per ogni nuova matricola era fissata in 6 fiorini d'oro, che raddoppiava se il candidato non era nato a Firenze, mentre i figli dei maestri già associati non dovevano versare nessuna quota, ma prestare soltanto giuramento.

 

La medicina medievale si basava molto sulla conoscenza della teoria degli umori e dell'astrologia, e benché avesse la pretesa di essere una disciplina empirica, i dottori dell'epoca si affidavano essenzialmente alle virtù curative di certe erbe, acque minerali e di tutti gli elementi naturali, comprese le fasi lunari. La pratica medica sicuramente più diffusa era il salasso, eseguito mediante incisioni o sanguisughe, nella convinzione che togliere il sangue "cattivo" avrebbe favorito la rigenerazione di quello "buono" riequilibrando gli umori e portando il paziente a una progressiva guarigione.

 

Un altro metodo comune di diagnosi era l'osservazione delle urine, di cui il medico studiava il colore e l'odore prima di pronunciarsi sull'eventuale cura. In realtà, nei casi più semplici, la miglior cura che poteva essere prescritta ad un paziente era del vino rosso e del buon brodo di carne, mentre per riparare ai danni del salasso si ricorreva abitualmente alla bruciatura delle ferite con lame arroventate.

 

Per gli stati più seri o cronici si faceva invece affidamento alle proprietà curative di certe acque termali o di fonti ritenute benefiche, che effettivamente potevano risultare efficaci nella cura dei calcoli renali o disfunzioni epatiche.

Una malattia molto diffusa tra i membri delle famiglie più facoltose era la gotta; fu questo il male di casa Medici nel Quattrocento, che provocò anche la morte di Lorenzo il Magnifico; i luminari chiamati a consulto provarono di tutto, arrivando a prescrivere un infuso a base di perle e pietre preziose polverizzate.

Le conoscenze più avanzate parevano essere quelle nel campo dell'ortopedia; i medici erano infatti in grado di curare slogature e fratture con steccature o bendaggi molto stretti o mettendo gli arti in trazione. Per i casi più disperati, comunque, non restava che affidarsi alla preghiera, invocando l'intercessione di qualche santo guaritore.

 

Orsanmichele
Orsanmichele rappresentò il Tempio delle Arti. In origine, nello stesso luogo, c’era una piccola chiesa chiamata San Michele in Orto – da qui il nome Orsanmichele – distrutta per volontà di Arnolfo di Cambio nel 1290 così da far posto a un mercato delle granaglie. Alla fine del 1400, con la chiusura delle pareti del loggiato, l’edificio fu di nuovo convertito in chiesa. Lungo il perimetro esterno della chiesa si trovano delle nicchie ospitanti i santi patroni delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri e, al disopra di esse, dei medaglioni con il rispettivo stemma dell’arte protetta da ciascun santo.

 


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