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Ludovico Maria Sforza, soprannominato il Moro per il colore olivastro della carnagione (Vigevano, 27 luglio 1452 – Loches, 27 maggio 1508) fu duca di Bari dal 1479, reggente del Ducato di Milano dal 1480, infine duca egli stesso dal 1494 al 1499, essendo al contempo signore di Genova.
Considerato un grande politico, capace di tessere relazioni delicate e difficili, assolutamente ambizioso e narciso e stratega ma anche codardo e doppiogiochista.
Ebbe con Leonardo un rapporto di fiducia particolare, in quanto lo considerava in grado di risolvere molti problemi militari, urbanistici del suo Ducato. Con Leonardo cercò di modernizzare la citta di Milano rendendola più attraente e potente.
Ai suoi tempi considerato l'Arbitro di Italia, secondo l'espressione usata dal Guicciardini, per via della sua preminenza politica.
Dotato di raro intelletto e ambiziosissimo, riuscì, benché quartogenito, ad acquistarsi il dominio su Milano, dapprima sottraendo la reggenza alla sprovveduta cognata Bona, dappoi subentrando al defunto nipote Gian Galeazzo, che si disse da lui avvelenato. Principe illuminato, generoso e pacifico, si fece patrono di artisti e letterati: durante il suo governo Milano conobbe il pieno Rinascimento e la sua corte divenne una delle più splendide d'Europa. Fu però di natura paurosa e incostante: per far fronte alle minacce del re Alfonso di Napoli, chiamò in Italia i francesi; minacciato anche dai francesi, non seppe fronteggiare il pericolo, e vi scampò solo grazie all'intervento della moglie Beatrice. Morta Beatrice, entrò in depressione, la sua corte si trasformò "di lieto paradiso in tenebroso inferno", ed egli soccombette infine al re di Francia Luigi XII, che lo condusse prigioniero in Francia, ove terminò miseramente i suoi giorni.
Pressocché favorevole fu il giudizio dei contemporanei:
«Era di tanto ingegno, che pareva non che Italia, ma tutta Europa fosse da lui governata, onde pareva l'arbitro de tutte le cose della Christianità». (Leandro Alberti)
«Arrecò tanto splendore et ricchezza alla Lombardia, che da tutti era chiamato edificatore della pace aurea, della pubblica sicurezza et della leggiadria». (Paolo Giovio)
1466
Muore il padre Francesco, il primogenito Galeazzo Maria divenne duca e concesse una corte personale e duemila ducati di rendita a ciascuno dei fratelli, oltre a molti feudi.
Ludovico divenne conte di Mortara e Brescello e signore di Pandino, Villanova, Scurano, Bassano Bresciano, Meletole, Oleta e delle Valli di Compigino. Dopo dieci giorni era già a Cremona per mantenere unite le terre del ducato. Si occupò di missive diplomatiche sino all'anno successivo, quando si recò a Genova per accogliere la sorella Ippolita.
1468, 6 giugno
Si trova a Genova per accogliere Bona di Savoia e la scortò insieme al fratello Tristano sino a Milano dove,
7 luglio,
Fu ancora ambasciatore presso il re di Francia e a Bologna.
1471, gennaio
Si recò a Venezia, per conto del duca, con un ricco corteo e vi pronunciò un discorso molto ben accolto dal doge che contribuì a migliorare le relazioni diplomatiche tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia.
1471, marzo
Accompagnò Galeazzo Maria nel suo fastoso viaggio a Firenze, passò nell'agosto a Roma per l'incoronazione di papa Sisto IV e in settembre alla corte di Torino.
Galeazzo Maria sembrava avere per lui una predilezione particolare: nel 1471 aveva stabilito nel testamento che, morendo senza nipoti, il ducato di Milano passasse a Ludovico ancor prima che agli altri fratelli. Quest'ultimo copriva la sua nota relazione con Lucia Marliani, firmando gli atti di donazione per la contessa.
1476
Quando egli venne inviato in Francia insieme al fratello Sforza Maria, in una sorta di camuffato esilio. Bona accusò in seguito i due cognati di aver tramato per assassinare il duca, salvo poi smentire l'accusa una volta riappacificatasi con Ludovico, dimodoché non è possibile stabilire le ragioni di quell'esilio. Secondo la versione ufficiale di Galeazzo Maria, erano stati i suoi stessi fratelli a chiedergli il permesso di "andare ad vedere del mondo".
Gian Galeazzo e la moglie Isabella d'Aragona, dopo il fastoso matrimonio, lasciarono Milano per creare una loro corte a Pavia. Sebbene il giovane Gian Galeazzo non sembrasse per nulla interessato al governo, Isabella pretendeva che lo zio gli cedesse il potere. Nacque così immediatamente una forte conflittualità tra lei e Ludovico, ma specialmente tra lei e Beatrice, poiché quest'ultima si rivelò perfino più ambiziosa del consorte e si faceva trattare come la vera duchessa di Milano, né Isabella, "rabiosa et disperata de invidia", poteva sopportare di vedersi superata in tutti gli onori dalla cugina.[58]
1491, dicembre
Egli condusse la moglie a vedere il Tesoro dello Stato, ammontante a ben un milione e mezzo di ducati,[59] e le promise che, se gli avesse dato un figlio maschio, l'avrebbe resa signora e padrona di tutto; viceversa, morendo lui, le sarebbe rimasto ben poco.
1492, gennaio
Beatrice predisse all'ambasciatore fiorentino che entro un anno lei e il marito sarebbero stati duchi di Milano, e l'ostilità fra lei e la cugina si fece intensissima.[58]
1492, 26 maggio
Arrivò l'investitura ufficiale da parte dell'imperatore, solennizzata da una grande cerimonia in Duomo. Ciò avveniva in un clima di grande tensione in quanto, per il mutamento di alleanze, il duca d'Orléans era intenzionato a far valere i propri diritti su Milano. Per rispondere alle sue palesi minacce, Ludovico pensò di attaccare il suo feudo d'Asti, ma la mossa sortì l'effetto contrario:
1492, 11 giugno
Luigi d'Orléans l'anticipò sul fatto, occupando con le proprie truppe, l'11 giugno, la città di Novara e spingendosi sino a Vigevano. Ludovico s'affrettò a chiudersi con la moglie e i figli nella Rocca del Castello di Milano ma, non sentendosi ugualmente al sicuro, combinò con l'ambasciatore spagnolo di lasciare il ducato per rifugiarsi in Spagna. Come scrive Bernardino Corio, la cosa non ebbe seguito solo per la ferrea opposizione della moglie Beatrice e di alcuni membri del consiglio, che lo convinsero a desistere.
La situazione tuttavia rimaneva critica: lo Stato era sull'orlo del tracollo finanziario, non v'erano soldi per mantenere l'esercito e si temeva una rivolta popolare. Scrive il Comines che, se il duca d'Orleans avesse avanzato solo di cento passi, l'esercito milanese avrebbe ripassato il Ticino, ed egli sarebbe riuscito ad entrare a Milano, poiché alcuni nobili cittadini si erano offerti di introdurvelo.
A peggiorare la situazione contribuiva l'ambiguità degli stessi condottieri del Moro e del suocero Ercole d'Este, il quale non solo rifiutava di mandare gli aiuti, ma si diceva perfino che insieme ai fiorentini sovvenisse in segreto l'Orleans.
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