PORTALE ITALIANO DI DIVULGAZIONE DELLA VITA E LE OPERE DI LEONARDO DA VINCI
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LEONARDO DA VINCI E LE SUE LETTERE
Molte lettere scritte personalmente da Leonardo ad Vinci sono andate perdute; ma non tutte.
Esplorando i suoi Codici, si può avere testimonianza delle lettere che scrisse al padre, ai fratelli, a Ludovico il moro e molte altre.
Leggerle con attenzione, ci fa capire il pensiero di Leonardo, il suo modo di vedere le cose e i suoi punti di vista.
Si tratta quindi di uno spaccato del suo intimo mondo.
NB. Per ogni scritto inserito viene citato il Codice dal quale è stato tratto, il numero di pagina e la posizione.
A Ludovico il Moro
C. A. 391r a
Avendo, Signor mio Illustrissimo, visto & considerato oramai ad sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputono maestri & compositori de instrumenti bellici, et che le invenzione e operazione di dicti instrumenti non sono niente alieni dal comune uso, mi exforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intender da V. Excellentia, aprendo a quella li secreti mei, & appresso offerendoli ad omni suo piacimento in tempi opportuni, operare cum effecto circa tutte quelle cose che sub brevità in parte saranno qui di sotto notate:
1. Ho modi de ponti leggerissimi & forti, & atti ad portare facilissimamente, et cum quelli seguire, & alcuna volta fuggire li inimici, & altri securi & inoffensibili da foco & battaglia, facili & commodi da levare & ponere. Et modi de arder & disfare quelli de l'inimico
2. So in la obsidione de una terra toglier via l'acqua de' fossi, et fare infiniti ponti, gatti & scale & altri instrumenti pertinenti ad dicta expedizione.
3. Item, se per altezza de argine, o per fortezza di loco & di sito, non si potesse in la obsidione de una terra usare l'officio de le bombarde, ho modi di ruinare omni rocca o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el saxo
4. Ho ancora modi de bombarde commodissime & facile ad portare, et cum quelle buttare minuti (saxi a similitudine) di tempesta; & cum el fumo di quella dando grande spavento all'inimico, cum grave suo danno & confusione.
9. Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender & defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni g[r]ossissima bombarda & polver & fumi.
5. Item, ho modi, per cave & vie secrete & distorte, facte senza alcuno strepito, per venire (ad uno certo) & disegnato [loco]), ancora che bisognasse passare sotto fossi o alcuno fiume.
6. Item, farò carri coperti, securi & inoffensibili, e quali intrando intra li inimica cum sue artiglierie, non è sì grande multitudine di gente d'arme che non rompessino. Et dietro a questi poteranno seg[ui]re fanterie assai, illesi e senza alcuno impedimento.
7. Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari et passavolanti di bellissime & utile forme, fora del comune uso.
8. Dove mancassi la operazione de le bombarde, componerò briccole, mangani, trabucchi & altri instrumenti di mirabile efficacia, & fora del usato; et insomma, secondo la varietà de' casi, componerò varie & infinite cose da offender & di[fendere].
10. In tempo di pace credo satisfare benissimo ad paragone de omni altro in architectura, in composizione di edificii & pubblici & privati, & in conducer acqua da uno loco ad uno altro.
Item, conducerò in sculptura di marmore, di bronzo & di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de onni altro, & sia chi vole.
Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale & eterno onore de la felice memoria del Signor vostro patre & de la inclita casa Sforzesca.
Et se alcuna de le sopra dicte cose a alcuno paressino impossibile e infactibile, me offero paratissimo ad farne experimento in el parco vostro, o in qual loco piacerà a Vostr'Excellenzia, ad la quale humilmente quanto più posso me recomando.
A Ludovico il Moro
C. A. 315v a
Assai m'incresce che l'avere a guadagnare el vitto m'abbi a interrompere il seguitare l'opera che già Vostra S.a mi commisse; ma spero in breve avere guadagnato tanto, che potrò sadisfare ad animo riposato a Vostra Eccellenza, alla quale mi raccomando. E se Vostra S.a si credessi ch'io [ave]ssi dinari, quella s'ingannerebbe, perché ho tenuto sei bocche trentasei mesi e ho auto cinquanta ducati! Forse che vostra Eccellenzia non commise altro (al) messer Gualtieri, credendo che io avessi dinari.
A Ludovico il Moro
C. A. 335v a
a) E se mi date più alcuna commessione d'alcuna... del premio del mio servizio, perché non son da essere da... cose assegnazioni, perché loro hanno intrate di p... tie che bene possano assettare più di me... non la mia arte la quale voglio mutare e d... dato qualche vestimento.
b) Signore, conoscendo io la mente di vostra Eccellenzia essere occupa... il ricordare a vostra Signoria le mie piccole e l'arei messe in silenzio... che 'l mio tacere fussi causa di fare isdegnare Vostra Signoria... la mia vita ai vostri servizi mi tien continuamente parato a ubbidir... del cavallo non dirò niente perché cognosco i tempi... a Vostra Signoria com'io restai avere el salario di due anni del... con due maestri i quali continovo stettono a mio salario e spe... che al fine mi trovai avanzato di ta[l] opera circa a 15 lire m... opere di fama per le quali io potessi mostrare a quelli che verranno ch'io sono sta... fa per tutto ma io non so dove io potessi spendere le mia opere a per...
c) L'avere io atteso a guadagnarmi la vita...
d) Per non essere informata (in che essere io mi trovo come e mi)... si ricorda della commessione del dipignere i camerini... portavo a Vostra Signoria solo richiedendo a quella...
Al governo di Venezia
C. A. 234v c
a) Illustrissimi Signori mia, avendo io veduto come e Turchi non possano che prima venire in Italia per alcuna parte di terra ferma, che non passino il fiume l'Isonzio, e benché io cognosca non potersi fare alcuno riparo di lunga premanenzia, non resterò però di ricordare che i pochi omini coll'aiuto di tale fiumi non vaglino per molti, imperocché dove tali fiumi...
b) Ho giudicato non si potere fare riparo in alcun altro sito che sia di tanta universale valitudine, quanto quello che si fa sopra detto fiume.
c) Quanto l'acqua è più torbida, più pesa, e quanto più pesa, più si fa veloce nel suo discenso e quella cosa ch'è più veloce, più offende il suo obbietto.
O la cosa nota sopra l'acqua o ella...
d) L'acqua non ruina s'ella non si move e movendosi ciò che si trova sotto alla sua superfizie che non si ferma col suo fondo, si move tanto più tarda che l'acqua, quanto ella è più grave, e s'ella...
e) Pel portare delle cose col corso, cioe legnami e sassi.
t) Non vo' fare sostegno che passi le più basse rive, cioè quattro braccia e ci...
g) Di quel che fia detto contro alla premanenzia.
E legnami che son portati dai fiumi romperanno...
h) A questa parte rispondo che tutti i sostegni fieno nella loro altezza equali alla minor bassezza delle argini e venendo il fiume a crescere insino a tale altezza, esso non entra ne' boschi vicini all'argine e non v'entrando, non si concede che possa levarne alcun legname e così il fiume corre sol colla sua acqua di semplice turbolenzia.
i) E s'ella s'inalza sopra essa argine, come s'è visto questo anno aver superato le minore argine circa quattro braccia, e s'essa porta con seco legnami grandissimi, quelli levandoli a noto, a compagnia col suo corso, e gli lascia appoggiati e fermi a quelli maggiori alberi, che li sono atti a resistere e rimangano perch'hanno rami.
l) E se pure entrano nel fiume, essi v'entrano per avere pochi o nessun ramo e notano di sopra e non toccano il mio sostegno dentato.
m) (Passeran di notte se aran pau... sospe...).
La gente dell'arme non vale contra di questi, s'ella non è unita, e s'ella è unita, essa non pò essere se non in un sol loco, o s'ella è unita in un sol loco, o ell'è più debole o più potente ch'e nimici; s'ell'è più debole, come da nimici per le spie... inteso, essi passeran con tradi[mento].
n) Quando e' vengano e grande impeti, che portano e legnami e alberi grandissimi, esso passerà quattro o cinque braccia sopra le sommità di tali ripari come dimostrasi e segni infra le cose rimaste appiccate alli rami delli alberi donde già s'alzò.
o) Dove l'acqua non ha corso, quivi fia con facilità e prestezza riempiuto di fascine. Sempre quelli che hanno gittato tornano indirieto da de...
p) (Avendo io) Illustrissimi Signori mia (bene esaminato el fiume di l'Isonzio fiume e oltre a di questo inteso) da paesani (ho inteso) come da qualunque parte (i paesani) e nimici (in v...) si pervenghino...
q) Illustrissimi Signori mia, avendo io bene esaminato la qualità del fiume l'Isonzio e da paesani inteso come per qualunche parte di terra fermare si possino i Turchi alle parte di la Italia, alfine conviene capitino al detto fiume, onde per questo ho giudicato che, ancora che sopra esso fiume ripari far non si possino che abbino che alfine non sieno ruinati e disfatti dalle sue inondazioni...
r) Illustrissimi Signori mia, avendo io conosciuto che per qualunque parte di terra ferma e Turchi pervenire si possino alle nostre parte italiche, alfine convien a quelli capitare al fiume l'Isonzio...
Al cardinale Ippolito d'Este
Md.
Ill.me ac R.me D.ne D.ne mi Hn. Comen. etc.
Pochi giorni sono ch'io venni da Milano, & trovando che uno mio fratello maggiore non mi vuol servare uno [te]stamento facto da tre anni in qua che è morto nostro padre, ancor che la ragione sia per me, nondimeno per non mancare a me medesmo in una cosa che io stimo assai, non ho voluto ommettere di richiedere la R.ma S. V. di una lettera commendatizia & di favore qui a el Signor Raphaello Iheronymo, che è al presente uno de' nostri excelsi Signori, ne' quali questa mia causa si agita, & particularmente è suta dal Ex.tia del Gonfaloniere rimessa nel prenominato Signor Raphaello, & sua Signoria la ha a decidere & terminare prima venga la festa di tutti e Santi. Et però, Monsignor mio, io prego quanto più so & posso V. R. S. che scriva una lettera qui al decto Signor Raphaello, in quel dextro & affectuoso modo che lei saprà, raccomandandoli Leonardo Vincio svisceratissimo servitore suo, come mi appello, & sempre voglio essere, ricercandolo & gravandolo mi voglia fare non solo ragione, ma expedizione favorevole, & io non dubito puncto per molte relazioni mi son facte che, sendo el signor Raphaello a V. S. affectionatissimo, la cosa mi succederà ad votum. Il che attribuirò a la lettera di V. R. S. a la quale iterum mi raccomando. Et bene valeat.
Florentie XVIII 7bris 1507.
E. V. R. D.
S.tor Humil.
Leonardus Vincius pictor.
Ai fratelli
C. A. 214v a
a) Voi volevi sommo male a Francesco e lasciavili godere il vostro in vita; a me ne volete malissimo a...
b) A chi volevi meglio, o a Francesco o a me? A te. Costui vole e mia danari dopo me, ch'io non ne possa fare la volontà mia e sa ch'io non posso alienare l'erede mio. Vol poi domandare a mia eredi e non come f. ma come alienissimo; e io come alienissimo riceverò lui e sua. Avete voi dati tali danari a Lionardo? No, o perché potrà elli dire che voi l'abbiate tirato in questa trappola, o finta o vera ch'ella si sia, se non per torli e sua danari o io non dirò nulla a lui in mentre che vive. Adunque non volete voi poi rendere e danari prestati sul vostro a sua eredi, ma volete che paghi l'entrate che esso ha di tal possessione.
c) O non lasciavi voi godere a lui in vita, purché poi essi tornassino a vostri fi.? Or non poteva esso ancora vivere molti anni? Sì. Or fate conto che io sia quello. Voi volesti che io fussi erede perch'io non vi potessi a voi, come erede, dimandare e danari che io ho avere da Francesco.
Al fratellastro Domenico
C. A. 202v a
Amatissimo mio fratello. Solo questa per avvisarti come ne' dì passati io ricevetti una tua, per la quale io intesi tu avere avuto erede, della quale cosa intendo come hai fatto strema allegrezza: il che, stimando io tu essere prudente, al tutto son chiaro come i' sono tanto alieno da l'avere bono giudizio, quanto tu dalla prudenza; con ciò sia che tu ti se' rallegrato d'averti creato un sollecito nemico, il quale con tutti li sua sudori disidererà libertà, la quale non sarà sanza tua morte.
C. A. 62v a
Padre carissimo, a l'ultimo del passato ebbi la lettera mi scrivesti, la quale in brieve spazio mi dette piacere e tristizia. Piacere, in quanto che per quella io intesi voi essere sano, di che ne rendo grazia a Dio; ebbi dispiacere intendendo il disagio vostro.
C. A. 247v b
a) (Ill.mo mio Signore aven)
(Assai mi rallegro illustrissimo mio Signore del vostro).
Tanto mi son rallegrato, illustrissimo mio Signore, del desiderato acquisto di vostra sanità che quasi el mal mio da me s'è fuggito – della quasi rintegrata sanità di vostra Eccellenza –. Ma assai mi rincresce il non avere io potuto integralmente saddisfare alli desideri di vostra Eccellenzia mediante la malignità di cotesto ingannatore, al quale non ho lasciato indirieto cosa alcuna colle quale io li abbia potuto giovare – che per me non il sia stata fatta – e prima la sua provvisione innanzi al tempo immediate li era pagata, la quale io credo che volentieri negherebbe – negata – se io non avessi la scritta e testata di man dello interpetre, e, vedendo io che per me non si lavorava se non quando i lavori d'altri li mancavano, de' quali lui era sollecito investigatore, io lo pregai che dovessi mangiare con meco e lavorare di lime appresso di me perché oltre al conto... ben l'opere, elli acquisterebbe il linguaggio taliano. Lui sempre (lo promise e mai lo volle fare). E questo facevo ancora perché quel Giovàn tedesco, che fa li specchi, ogni dì li era in bottega e voleva vedere e intendere ciò che si faceva, e pubblicava per la terra biasimando... quel che lui non ne intendea. E questo facevo perché lui mangiava (colli tedeschi che so) con quel della guardia del Papa e poi se n'andava in compagnia, colli scoppietti ammazzando uccelli per queste anticaglie, e così seguitava da dopo desinare a sera. E se io mandavo Lorenzo a sollecitarli il lavoro lui si scrucciava e diceva che non voleva tanti maestri sopra ['l] capo e che il lavorar suo era per il guarderoba di vostra Eccellenzia, e passò dua mesi, e così seguitavo, e un dì trovando Giannicolò della guardaroba domanda'lo se 'l tedesco avea finito l'opere del Magnifico, (e lui) mi disse non esser vero, ma che solamente li avea dato a nettar dua scoppiette. Di poi facendolo io sollecitare, lui lasciò la bottega e cominciò a lavorare in camera e perde[r] assai tempo nel fare un'altra morsa e lime e altri strumenti a vite, e quivi lavorava mulenelli da torcere seta e o[ro], i quali nascondeva, quando nessun de' mia v'entrava, e con mille bestemmie e rimbrotti in modo che nessun de' mia voleva più entrare.
b) Tanto mi son rallegrato, illustrissimo mio Signore, del desiderato acquisto di vostra sanità, che quasi il male mio da me s'è fuggito. Ma assai mi rincresce il non avere io potuto integralmente saddisfare alli desideri di Vostra Eccellenza, mediante la malignità di cotesto ingannatore tedesco; per il quale non ho lasciato indirieto cosa alcuna, colle quale io abbia creduto farli piacere. E prima invitarlo ad abitare e vivere con meco, per la qual cosa io vedrei al continuo l'opera che lui facessi, e con facilità ricorreggere' li errori, e oltre a di questo imparerebbe la lingua taliana, mediante la quale lui con facilità potrebbe parlare sanza interprete. E prima li sua dinari li furon sempre dati innanzi al tempo al tutto. Di poi, la richiesta di costui fu di avere li modelli finiti di legname, com'elli aveano a essere di ferro, e quali volea portare nel suo paese; la qual cosa io li negai, dicendoli ch'io li darei in disegno la larghezza, lun[gh]ezza e grossezza e figura di ciò ch'elli avesse a fare; e così restammo mal volentieri.
c) La seconda cosa fu che si fece un'altra bottega, con nove morse e strumenti nella camera dove dormiva, e quivi lavorava per altri; dipoi andava a desinare co' Svizzeri della guardia, dove sta gente sfaccendata, della qual cosa lui tutti li vinceva. Di lì se ne usciva e 'l più delle volte se n'andavan dua o tre di loro, colli scoppietti, ammazzando uccelli per le anticaglie, e questo durava insino a sera.
d) Alfine ho trovato come questo maestro Giovanni delli specchi è quello che ha fatto il tutto per due cagioni. E la prima è perché lui ha uto a dire che la venuta mia qui li ha tolto la conversazione e 'l favore di Vostra Signoria, che sempre ve..., l'altra è che la stanzia di questo ferreri dice convenirsi a lui per lavorare li specchi e di questo n'è fatto dimostrazione che, oltre al farmi costui nimico, li ha fatto vendere ogni sua... e lasciare a lui la sua bottega, nella qual lavora con molti lavoranti assai specchi per mandare alle fiere.
C. A. 389v d
Io ho uno che, per aversi di me promesse cose assai men che debite, essendo rimaso ingannato del suo prosuntuoso desiderio, ha tentato di tormi tutti li amici, e perché li ha trovati savi e non leggeri al suo volere, m'ha minacciato che troverà tale [inven]zione che mi torrà e benifattori; onde io ho di questo informato Vostra Signoria, acciò (che, volendo questo seminare li usati scandoli, non trovi terreno atto a ricevere i pensieri e li atti della sua mala natura).
([A ciò] che, tentando lui fare di Vostra Eccellenzia strumenti della sua iniqua e malvagia natura, rimanga ingannato di suo desiderio).
C. A. 182v c
a) Lo volli tenere a mangiar meco, stando a...
b) Andava a mangiare colla guardia, dove, oltre allo star due o tre ore a tavola, ispessi[ssi]me volte il rimanente del giorno era consumato coll'andare in collo scoppietto ammazzando uccelli per queste anticaglie.
E se nessun de' mia li entrava in bottega, e' faceva lor rabbuffi, e, se alcun lo riprendeva, elli diceva che lavorava per il guarderoba, e nettare armadure e scoppietti.
Alli danari subito il principio del mese sollecitissimo a riscoterli.
E per non essere sollecitato lasciò la bottega, e se ne fece una in camera, e lavorava per altri e se in ultimo li feci dire...
Vedendo io costui rare volte stare a bottega, e che consumava assai, io li feci dire che, se li piaccia, che i' farei co' lui mercato di ciascuna cosa che lui facessi, e a stima, e tanto li darei quanto noi fussimo d'accordo; elli si consigliò col vicino e lasciolli la stanza, vendendo ogni cosa e venne a trovare...
Quest'altro m'ha impedito l'anatomia col Papa biasimandola, e cosi allo spedale, e empiè di botteghe da specchi tutto questo Belvedere o lavoranti, e così ha fatto nella stanza di maestro Giorzo.
c) Questo non fece opera nessuna, che ogni giorno non conferissi con Giovanni, el quale le bandiva e bandiva per la terra, dicendo lui esser maestro di tale arte, e quel che lui non intendeva diceva io non sapere quello che far mi volessi, accusando me della sua ignoranza.
d) Non posso per via di costui far cosa segreta, perché quell'altro li è sempre alle spalli, perché l'una stanza riesce nell'altra.
e) Ma tutto il suo intento era insignorirsi di quelle due stanze per far lavorar di specchi.
E s'io li mettevo a fare la mia centina, ella si pubricava, etc.
f) Disse che otto ducati li fu promesso ogni mese, cominciando il primo dì che si misse in via, o, il più tardo, quando e' vi parlò, e che voi l'accettasti, e...
C. A. 92r b
Sommi accertificato che esso lavora a tutti e che fa bottega per il popolo; per la qual cosa io non voglio che lavori per me a provvisione, ma che e' si paghi de' lavori che fa per me; e perch'elli ha bottega e casa del Magnifico, che sia tenuto a mandare i lavori del Magnifico innanzi a tutti.
H. 137r
Tutti i mali che sono e che furono essendo messi in opera da costui, non saddisferebbono al desiderio del suo iniquo animo. I' non potrei con lunghezza di tem[po] desc[r]ivervi la natura di costui, ma ben conchiudo che...
C. A. 372v a
Magnifico Presidente, essendomi io più volte ricordato delle profferte fattomi da Vostra Eccellenzia, più volte ho preso sicurtà di scrivere, e di ricordare a quella la promessa fattomi a l'ultima partita, cioè la possessione di quelle dodici once d'acqua donatomi dal Cristianissimo Re. Vostra Signoria sa che io non entrai in essa possessione, perché in quel tempo ch'ella mi fu donata, era carestia d'acqua nel Navilio, sì pel gran secco, come pel non essere ancora moderato li sua bocchelli, ma mi fu promesso da Vostra Eccellenzia che, fatta tal moderazione, io avrei l'attento mio. Di poi, intendendo essere acconcio il Navilio, io scrissi più volte a Vostra Signoria e a Messer Girolamo da Cusano, che ha appresso di sé la carta di tal donagione, e così scrissi al Corigero, e mai ebbi risposta. Ora io mando costì Salai, mio discepolo, apportatore di questa, al quale V. S. potrà dire a bocca tutto quel ch'è seguito, della qual cosa i' priego Vostra Eccellenzia.
C. A. 372v a
M.o Signore mio, l'amore che V. Eccellenzia m'ha sempre dimostro, e benifizi ch'io ho ricevuti da quella al continuo mi son dinanzi.
Io ho sospetto che la poca remunerazion de' gran benifizi ch'i' ho ricevuta da Vostra Eccellenzia, non v'abbino fatto alquanto turbare con meco; e questo è che di più lettere che io ho scritte a Vostra Eccellenzia i' non ho mai auta risposta. Ora io mando costì Salai per fare intendere a V. Signoria come io son quasi al fine del mio letigio co' mia fratelli, e come io credo essere costì in questa Pasqua, e portare con meco due quadri, dov'è sù due Nostre Donne di varie grandezze, le quale io ho cominciate pel Cristianissimo Re o per chi a voi piacerà. Arei ben caro di sapere, alla mia tornata di costà, dove io ho a stare per istanzia, perché non vorrei dare più noia a Vostra Signoria; e ancora, avendo io lavorato pel Cristianissimo Re, se la mia provvisione è per correre o no. Io scrivo al Presidente di quell'acqua che mi donò il Re, della quale non fui messo in possessione, per esserne carestia nel Navilio, per causa de' gran secchi, e perché i sua bocchegli non eran moderati; ma ben mi promisse che fatta tal moderazione, e ne sarei messo in possessione; sì che io vi priego che scontrandosi in esso Presidente, non vi incresca che, ora che tali bocchelli son moderati, di ricordare a detto Presidente di farmi dare la possessione d'essa acqua, che mi parve intendere che in gran parte stava a lui. Altro non mi accade. I' sono sempre a' vostri comandi.
C. A. 372v a
Buon dì, messer Francesco, puollo fare Iddio che, di tante lettere ch'io v'ho scritto, che mai voi non m'abbiate risposto? Or aspettate ch'io venga costà, per Dio, ch'io vi farò tanto scrivere, che forse vi rincrescerà.
Caro mio messer Francesco, io mando costì Salai, per intendere della Magnificenzia del Presidente che fine ha 'uta quella moderazione dell'acqua, che alla mia partita fu ordinata per li bocchelli del Navilio: perché el Magnifico Presidente mi promise che subito fatta tal moderazione, io sarei spedito. Ora egli è più tempo che io intesi che ['l] Navilio s'acconciava e similmente i sua bocchelli, e immediate scrissi al Presidente e a Voi, e poi ripricai, e mai ebbi risposta. Adunque voi degnerete di rispondermi quel ch'è seguito, e, non essendo per ispedirsi, non v'incresca per mio amore, di sollecitarne un poco il Presidente e così Messer Girolamo da Cusano, al quale voi mi raccomanderete, e offereretemi a Sua Magnificenzia.
Ai fabbriceri del Duomo di Piacenza
C. A. 323r b
a) Piacenzia è terra di passo, come Fiorenza.
b) Magnifici Fabbriceri, intendendo io vostre magnificenze avere preso partito di fare certe magne opere di bronzo, delle quali io vi darò alcuno ricordo, prima che voi non siate tanto veloci e tanto presti a fare essa allocazione, che, per essa celerità, sia tolto qualche omo che per la sua insoffizienzia abbia appresso a' vostri successori a vituperare sé e la vostra età... iudicando che questa età fussi mal fornita [sia] d'omini di bon giudizio, che di boni maestri, vedendo nell'altre città, e massime nelle città de' fiorentini, quasi ne' medesimi tempi essere dotata di sì belle e magne opere di bronzo, infra le quali le porte del loro battisterio; la qual Fiorenzia, sì come Piacenzia, è terra di passo, dove concorre assai forestieri, i quali vedendo le opere belle o bone, d'elle fanno a sé medesimi impressione quella città essere fornita di degni abitatori, vedendo l'opere testimonie d'essa openione e per lo contradio vedendo tanta spesa di metallo operata sì tristamente, che men vergogna alla città sarebbe che esse porte fussino di semplice legname, perché la poca spesa della materia non parrebbe meritevole di grande spesa di magisterio, ond'é che...
c) Le principali parti che per le città si ricerca si sono i domi di quelle, delli quali appressatosi le prime cose che all'occhio appariscano sono le porte donde in esse chiese passare si possa.
d) Guardate, Signori Fabbriceri, che la troppa celerità del volere voi con tanta prestezza dare ispedizione alla locazione di tanta magna opera quanto io sento che per voi s'è ordinata, non sia cagione che quello che per onore di Dio e delli omini si fa, non torni in gran disonore de' vostri iudizi e della vostra città, dove, per essere terra degna e di passo, è concorso d'innumerabili forestieri. E questo disonore accaderebbe quando per le vostre indiligenzie voi prestassi fede a qualche vantato[re] che per le sue frappe o per favore che di qua dato li fussi, da voi avessi a impetrare simile opera, per la quale a sé e a voi avessi a partorire lunga e grandissima infamia; che non posso fare che io non mi iscrucci a ripensare quali omini sieno quelli che con me abbino conferito volere in simile impresa entrare, sanza pensare alla loro soffizienzia, [sanza] dirne altro: chi è maestro da boccali, chi di corazze, chi campanaro, alcuno sonaglieri, e insino a bombardiere, fra i quali uno del Signore s'è vantato che tra l'essere lui compare de Messere Ambrosio Ferrere che à qualche commessione, dal quale lui à buone promessioni, e se quello non basterà, che monterà a cavallo, e andrà dal Signore e impet[r]erà tale lettere che per voi mai simile opera non gli sa[rà] dinegata. Mo' guardate dove i miseri studiosi, atti a simile opere sono ridotti, quando con simili omini hanno a gareggiare! con che speranza e' possano aspettare premio di lor virtù! aprite li occhi, e vogliate ben vedere che i vostri dinari non si spendino in comperare le vostre vergogne. Io vi so annunziare che di questa terra voi non trarrete se none opere di sorte e di vile e grossi magisteri; non ci è omo che vaglia e credetelo a me, salvo Lonar Fiorentino che fa il cavallo del duca Francesco di bronzo, che non ne bisogna fare stima, perché ha che fare il tempo di sua vita, e dubito che, per l'essere sì grande opera, che non la finirà mai.
C. A. 270r c
a) Signori padri diputati, sì come ai medici, tutori, curatori de li ammalati, bisogna intendere che cosa è omo, che cosa è vita, che cosa è sanità, e in che modo una parità, una concordanza d'elementi la mantiene, e così una discordanza di quelli la ruina e disfà, e conosciuto ben le sopra dette nature, potrà meglio riparare che chi n'è privato.
b) Voi sapete le medicine, essendo bene adoperate, rendon sanità ai malati. Questo bene adoperate sarà, quando il medico con lo intendere la lor natura intenderà che cosa è omo, che cosa è vita, che cosa è complessione e così sanità. Conosciute ben queste, ben conoscerà il suo contrario. Essendo così, ben vi saperà riparare.
c) Voi sapete le medicine, essendo bene adoperate, rendon sanità ai malati, e quello che bene le conosce, ben l'adopererà, quando ancora lui conoscerà che cosa è omo, che cosa è vita e complessione, che cosa è sanità; conoscendo queste, bene conoscerà i sua contrari; essendo così, più visino sarà al riparo ch'alcun altro. Questo medesimo bisogna al malato domo, cioè uno medico architetto, che 'ntenda bene che cosa è edifizio, e da che regole il retto edificare diriva, e donde dette regole sono tratte, e 'n quante parte sieno divise, e quale sieno le cagione che tengano lo edifizio insieme, e che lo fanno premanente, e che natura sia quella del peso, e quale sia il disiderio de la forza, e in che modo si debbono contessere e collegare insieme, e congiunte che effetto partorischino. Chi di queste sopra dette cose arà vera cognizione, vi lascerà di sua rason e opera sadisfatto.
d) Onde per questo io m'ingegnerò, non ditraendo, non infamando alcuno, di saddisfare in parte con ragioni e in parte coll'opere, alcuna volta dimostrando li effetti per le cagioni, alcuna vol[t]a affermando le ragioni colle sperienze, (e 'nsieme con) queste accomodando alcuna alturità de li architetti antichi, le pruove de li edifizi fatti, e quali sieno le cagioni di lor ruina e di lor premanenzia ecc.
e) E con quelle dimostrare qual è prima del carico, e quale e quante sieno le cagioni che danno ruina a li edifizi, e quale è il modo della loro stabilità e premanenza.
f) Ma per non essere plorisso a Vostr'Eccellenze, dirò prima la invenzione del primo architetto del domo, e chiaramente vi dimosterò qual fussi sua intenzione, affermando quella collo principiato edifizio; e facendovi questo intendere, chiaramente potrete conoscere il modello da me fatto avere in sé quella simetria, quella corrispondenzia, quella conformità, quale s'appartiene al principiato edifizio.
g) Che cosa è edifizio e donde le regole del retto edificare hanno dirivazione, e quante e quali sieno le parte appartenente a quelle.
h) O io, o altri che lo dimostri me' di me, pigliatelo, mettete da canto ogni passione.
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