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LEONARDO DA VINCI E GIAN GIACOMO CAPROTTI

Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì o il Salaino (Oreno, 27 dicembre 1480 – Milano, 19 gennaio 1524), è stato un pittore italiano, allievo prediletto di Leonardo da Vinci. 

"Salaì" è una forma abbreviata del suo nome "Giovanni", e significa "piccolo Giovanni" in dialetto milanese.

Salaì entrò a far parte del cerchio di Leonardo da Vinci intorno al 1490, quando era ancora un adolescente. Rimase con Leonardo per molti anni, assistendolo nei suoi studi artistici, scientifici e tecnici. Salaì fu anche un modello per alcuni dipinti di Leonardo, come ad esempio nella "Testa di un ragazzo", oggi esposta al Louvre.

La relazione tra Leonardo e Salaì è stata oggetto di speculazioni e dibattiti tra gli storici dell'arte. Alcuni ritengono che Salaì abbia avuto un ruolo significativo nell'opera di Leonardo, mentre altri considerano la sua influenza meno rilevante. In ogni caso, Salaì è ricordato principalmente per essere stato uno dei collaboratori più stretti di Leonardo da Vinci durante il suo periodo a Milano.

 

Figura emblematica, ebbe col maestro un rapporto controverso come testimonia il suo curioso soprannome, finendo per essere una delle persone a lui più vicine; c'è chi ipotizza fosse, oltre che allievo, anche amante del grande maestro. Venne spesso usato come modello, e il suo volto androgino rappresentato, si pensa, anche in soggetti femminili. Ebbe una carriera indipendente nell'ambito dei cosiddetti leonardeschi.

Gian Giacomo Caprotti e Leonardo da Vinci

1490, 22 luglio

Gian Giacomo Caprotti entrò nella bottega di Leonardo, sistemata in Corte Vecchia a Milano di fronte al Duomo e accanto all'Arengo, . Fu lo stesso Maestro ad annotarlo sul primo foglio del Manoscritto C, oggi conservato a Parigi presso l'Institut de France:

 "Giacomo venne a stare con meco il dì della Madonna del 1490, d'età d'anni 10".

Fino al gennaio del 1491 la pagina iniziale di quel Codice, ricco di appunti dedicati alla pittura e allo studio delle acque, continuò ad accogliere note di vita quotidiana e in particolare le malefatte del giovane orenese; “Il secondo dì gli feci tagliare due camicie, un paro di calze e un giubbone, e quando mi posi i dinari a lato per pagare dette cose, lui mi rubò detti dinari della scarsella, e mai fu possibile farglielo confessare, bench'io n'avessi vera certezza – lire 4”. Tempo dopo, sul margine, il Maestro aggiunse: “ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto”.

 

1493 

entrò a far parte del nucleo familiare di Leonardo anche un’altra persona, di cui l’uomo registra per ben due volte nelle sue carte la data dell’arrivo: “A dì 16 di luglio Caterina venne a dì 16 di luglio 1493”; la menziona ancora nel 1494 in relazione all’acquisto di alcuni indumenti, dopodiché la nomina per l’ultima volta un anno più tardi quando annota minuziosamente le “spese per la socterratura di Caterina”. Per quanto le esequie non fossero sfarzose, la cifra di 180 soldi che il pittore sborsò per il funerale e la sepoltura sembra eccessiva per una semplice domestica, inoltre la reiterazione della data della venuta della donna nell’abitazione dell’artista trova un’unica rispondenza negli scritti di Leonardo, e cioè nella registrazione dell’ora della morte del padre, ser Piero, che avvenne dopo il ritorno del pittore nel capoluogo toscano: 

 

“A dì 9 di luglio 1504, mercoledì a ore 7, morì Ser Piero da Vinci, notaio al Palazzo del Podestà, mio padre, a ore 7”; 

entrambi gli elementi hanno portato gli studiosi a immaginare che la Caterina di cui scrive l’artista fosse la madre, trasferitasi da Vinci a Milano per ricongiungersi al suo primogenito. L’ipotesi non è priva di fondamento, perché all’epoca la donna era rimasta da sola (le figlie avevano abbandonato la casa dei genitori in seguito ai rispettivi matrimoni, il marito era morto nel 1490, e l’unico figlio maschio, Francesco, aveva perso la vita per un colpo di balestra) e forse aveva avvertito il bisogno di affidarsi ad una figura maschile e al contempo di riallacciare un rapporto interrotto tanti anni prima; ma come al solito Leonardo è impenetrabile nelle emozioni, nei sentimenti e nei pensieri più profondi, che custodisce gelosamente dentro di sé senza lasciar trapelare niente dai suoi scritti, e infatti nei taccuini è attento a non tradirsi e a non far capire quale sia la relazione che lo lega alla donna, di cui annota lucidamente soltanto una fredda lista di spese. (continua – Barbara Prosperi)

 

1494

Il nome Salaì comparve per la prima volta  L'epiteto, derivato da una contrazione di "Saladino", inteso come diavolo (poiché infedele), fu ripreso dal Morgante (XXI 47 7), un poema cavalleresco composto per la corte dei Medici quando Leonardo era ancora a Firenze. Nell'opera l'espressione è impiegata per evocare una potenza infernale, e per la sua irrequietezza e la sua spavalderia Gian Giacomo dovette apparire al maestro proprio simile ad un piccolo diavolo[1].

 

Il garzone di bottega, giorno dopo giorno, conquistò la fiducia dell'artista, fino a diventare insostituibile. Ogni spostamento li vide uno accanto all'altro; seguì Leonardo in tutti i suoi viaggi, da Milano a Venezia, poi a Firenze, quindi di nuovo a Milano e infine a Roma. Ad accompagnare il maestro nel suo ultimo viaggio a Cloux furono invece Francesco Melzi e il fedele domestico Batista de Vilanis. Solamente quando la salute di Leonardo si aggravò, Salaì si precipitò in Francia. Alla corte francese ricoprì il ruolo di "domestico" (è così che figura nel libro paga del re Francesco I). 

 

In realtà Salaì rimase poco a Clos-Lucé, il piccolo castello di campagna messo a disposizione dal sovrano; quasi certamente si spostò a Parigi ma non era a Cloux il giorno in cui Leonardo redasse il testamento e 

 

1519, 2 maggio

Leonardo muore e Caprotti non gli fu vicino. Per scelta di Leonardo fu comunque fra gli eredi e ricevette metà della vigna in Porta Vercellina, nei pressi del Borgo delle Grazie, sul terreno della vigna grande di San Vittore, che la famiglia Caprotti occupava dal 1498 circa.  Salaì ritornò a Milano, con molta probabilità  portando con sé alcuni dipinti del maestro. In eredità ricevette solamente

 

1524, 19 gennaio

Caprotti morì, probabilmente a causa di un colpo di schioppo. Dopo la morte la vedova e le sorelle si contesero l'eredità e per dirimere la questione,

 

1525, 21 aprile

fu steso un inventario dei beni, la cui descrizione è tornata alla luce solo di recente. Il ritrovamento ha aperto nuove prospettive circa la sorte iniziale dei capolavori di Leonardo. Fra i beni posseduti dal Salaì figuravano quadri denominati la Leda[2], il San Girolamo, la Sant'Anna, il San Giovanni Battista, la Gioconda. Non è chiaro se i dipinti fossero originali eseguiti da Leonardo o soltanto copie fedeli ad opera dello stesso Salaì.

 

Proprio in quegli anni l’artista accolse sotto il suo tetto un bambino di dieci anni, Gian Giacomo Caprotti, a cui venne presto affibbiato il soprannome di Salaì, in riferimento ad un diavolo presente nel “Morgante” di Luigi Pulci, ad indicare il comportamento burrascoso del fanciullo. 

Di lui infatti Leonardo scrive:

 “Jacomo venne a stare con meco il dì della Maddalena – il 22 luglio – del 1490 d’età d’anni 10”; “Il secondo dì li feci tagliare 2 camicie un paro di calze e un giubbone – continua –, e quando mi posi i denari al lato per pagare dette cose, lui mi prese detti denari dalla scarsella e mai fu possibile farli confessare, bench’io n’avessi vera certezza”; poi elenca seccamente le caratteristiche del ragazzo: “Ladro bugiardo ostinato ghiotto”

 

Giacomo restò al fianco di Leonardo per oltre due decenni, divise con lui gli anni migliori della sua vita e fu in definitiva una delle persone più vicine al maestro, che lo iniziò alla pratica della pittura senza però riuscire a trasformarlo in un artista di rilievo; eppure, a dispetto della sua mediocrità e delle sue intemperanze, Leonardo lo tenne con sé fino alla parte conclusiva della sua esistenza, ragion per cui non rimane che ipotizzare una ragione di tipo affettivo. Forse l’artista lo considerava il figlio che non aveva mai avuto, oppure ne fece il suo amante, ad ogni modo quel che è certo è che nei suoi confronti non cessò di essere indulgente e di ricoprirlo di attenzioni, arrivando a perdonare tutte le sue malefatte.

 


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