PORTALE ITALIANO DI DIVULGAZIONE DELLA VITA E LE OPERE DI LEONARDO DA VINCI
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Vasari racconta che ser Piero, dopo avere inutilmente tentato di fare compiere al figlio studi regolari, si vide costretto ad assecondarne la vocazione artistica, inviandolo a bottega presso il Verrocchio.
E' molto probabile che Leonardo sin da quando abitava col nonno Antonio a Vinci, ebbe a disposizione una vasta collezione di libri del nonno con i quali potè formari i suoi primi rudimenti. I testi riguardavano la grammatica, la scienza ( da qui il suo interessamento per la natura), la geometria e la matematica. Questo lo si evince dal fatto che una attenta analisi effettuata dai suoi scritti presenti nei codici vinciani, come il Leicester, che dimostrerebbero citazioni ed esempi già presenti in altri libri e traspare infatti la conoscenza di numerosi testi classici e medievali.
1504
In una nota, Leonardo dichiarava di avere più di cento libri, oltre a circa cinquanta raccolte di manoscritti:
<<…venticinque piccoli, sedici più grandi, due maggiori, sei in carta pecora e uno con coverta di camoscio verde>>.
Leonardo lasciò la sua biblioteca in eredità al suo fedelissimo collaboratore e allievo Francesco Melzi. Immediatamente dopo la scomparsa del maestro, Melzi tornò a vivere nella casa di famiglia presso Vaprio d’Adda, vicino a Bergamo, e portò con sé la biblioteca, gli strumenti, i disegni e il guardaroba appartenuti a Leonardo. Dagli appunti di Leonardo, Melzi produsse il Trattato della Pittura, principale opera letteraria del maestro.
Leonardo venne soprannominato "homo sanza lettere", proprio per sottolineare il fatto che non aveva avuto un'istruzione del greco e del latino. Dopo aver studiato a Firenze nella bottega del Verrocchio, si diresse a Milano presso gli Sforza. Egli, poi, viaggiò a Mantova e Venezia.
OMO SENZA LETTERE – ‘Omo sanza lettere’, così si definisce Leonardo in una pagina del Codice Atlantico.
Si tratta di un appunto dal tono amaro che lascia trasparire quanto fosse un problema per il genio toscano l’essere ignorante in latino. Possiamo facilmente comprendere il motivo di tanta amarezza: nelle corti e nelle università si parlava il latino ed era in questa lingua che si disputava il dibattito scientifico.
Per Leonardo, che aspirava a fare dell’arte una scienza e della scienza un’arte, la conoscenza della lingua dei dotti era pertanto un requisito fondamentale per attirarsi la considerazione del mondo accademico.
Fu così che il giovane artista, nella speranza di colmare le proprie lacune, cominciò a farsi una piccola provvista dei libri che gli sembravano più utili per lo studio del latino: una grammatica, un testo di aritmetica, un manuale di chimica, la Storia Naturale di Plinio e, per finire, il Morgante, bestseller del tempo. I risultati delle sue esercitazioni da autodidatta furono però alquanto deludenti.
Malgrado gli sforzi per imparare il latino siano documentati dai codici, pieni di esercizi di analisi logica, declinazioni ed espressioni latine, è il disegno a rimanere la passione indiscussa di Leonardo. A conferma di una sua vocazione per il visuale che non conosce uguali.
Leonardo aveva anche un giudizio negativo dei letterati, poiché, a suo dire, sfruttavano l’arte e la creatività altrui:
«So bene che, per non essere io letterato, che alcuno prosuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch’io potrei, sì come Mario rispose contro a’ patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: Quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliono concedere. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienza, che d’altrui parola, la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutti i casi allegherò».
Secondo la filosofia di Leonardo la parola non conta nulla senza l’esperienza, e farsi vanto della conoscenza letteraria significa vantarsi di cose non proprie, ma create da altri.
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