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LEONARDO DA VINCI E LA MADONNA DI CAMALDOLI

Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci

Titolo dell'opera: Madonna di Camaldoli

Data di produzione: seconda metà del XV secolo

dimensioni: 76,5×56,1 cm

conservata presso: museo di Camaldoli

Soggetto: donna con bambino

Tecnica: uovo e olio di lino su tavola

Attribuzione: Bottega del Verrocchio

Descrizione dell'opera 

Il dipinto prende il nome dal monastero di Camaldoli, un importante centro monastico situato vicino al santuario, gestito dalla Congregazione Camaldolese, un ramo dell'Ordine di San Benedetto. La Madonna di Camaldoli è particolarmente venerata dai fedeli della zona e ha un significato spirituale profondo per la comunità locale.

L'opera rappresenta la Vergine Maria che tiene il Bambino Gesù tra le sue braccia, con un'intensa espressione di dolcezza e devozione. Il dipinto può variare leggermente nei dettagli e nelle sfumature a seconda dell'artista che lo ha realizzato, ma spesso presenta uno stile tipicamente rinascimentale, con un'attenzione particolare ai dettagli anatomici e all'espressione emotiva dei personaggi.

La Madonna di Camaldoli è considerata un'opera di grande importanza artistica e spirituale, e continua a essere oggetto di devozione e venerazione presso il Santuario della Verna e nella regione circostantSullo sfondo di un paesaggio colto dall'alto, in prospettiva aerea, immerso in una luce soffusa che accentua il senso di profondità e al di qua di una balaustra in pietra, Maria tiene Gesù bambino in piedi sulle ginocchia: si tratta della tipica iconografia sviluppatasi in Veneto, soprattutto per mano di Bellini, riproposta in pittura e in scultura nella Firenze medicea da Verrocchio. L'intimità tra i due soggetti è accentuata dal contatto tra le mani ed è rimarcata dal gesto protettivo della madre che impedisce al figlio di cadere. Gli sguardi (tenero di Maria e già proiettato altrove di Gesù) dimostrano uno studio accurato della composizione.

Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci

Chi ha davvero dipinto la Madonna di Camaldoli?

L'opera proviene dalla bottega di Verrocchio e vi hanno contribuito più mani. Sono molti gli indizi che conducono a questa conclusione attributiva.

 

Le similitudini con le opere di Leonardo

Come si può vedere qui sotto, vi sono molte similitudini tra due opere. 

Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci
Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci

Madonna Dreyfus della National Gallery of Art di Washington

 (attribuita o a Leonardo o a Lorenzo di Credi). 

Madonna di Camaldoli presso museo di Camaldoli

( attribuita al Verrocchio) 

Maria

E' sempre rappresentata Il volto di Maria trova corrispondenze in numerosi disegni di Leonardo e Verrocchio e in varie opere di Lorenzo di Credi (si veda la Madonna di Piazza di Pistoia qui sotto). Il volto della Vergine inclinato a destra di tre quarti ricorda lo stile di Leonardo e l sua consueta rappresentazione. 

 

Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci

La Madonna di Piazza è un dipinto a tempera su tavola di Andrea del Verrocchio e Lorenzo di Credi, databile al 1474-1486 circa e conservato nella Cattedrale di San Zeno a Pistoia.

La posizione delle mani di Maria è analoga a quella della Madonna col Bambino di Perugino conservata al Museo Puškin di Mosca.

Una testa di bambino disegnata da Verrocchio (Fitzwilliam Museum di Cambridge) risulta sovrapponibile a quella di Gesù

Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci
Madonna di Camaldoli Leonardo da Vinci

La Madonna con Bambino è un dipinto a olio su tela, trasportato da tavola, realizzato dal pittore italiano Perugino, con aiuti della bottega. È conservato in Russia, nel Museo Puškin di Mosca.

Una testa di bambino disegnata da Verrocchio

 (Fitzwilliam Museum di Cambridge)

L'abito 

E' un continuo gioco di luce e ombre ed è molto simile agli studi di Leonardo appresi proprio nella bottega del Verrocchio, circa il posizionamento delle forme. 

 

La spilla 

E' una costante dello stile leonardesco. In questo caso la spilla si chiude sul seno della Madonna. Le spille sono presenti in varie opere “verrocchiane”, sicuramente provenienti dalla bottega verrocchiana

Nel Rinascimento, l'iconografia religiosa era molto diffusa e la rappresentazione di scene della vita di Gesù, della Vergine Maria e dei santi era comune nell'arte sacra. La spilla sul collo di Maria, spesso chiamata "fermacappuccio" o "fibbia", era un dettaglio iconografico ricorrente nelle rappresentazioni artistiche della Madonna.

 

Questa spilla rappresentava simbolicamente la purezza e la modestia di Maria. Nel contesto religioso, la Vergine Maria era considerata il modello di perfezione umana, la madre di Gesù Cristo e un esempio di virtù per i credenti. La spilla sul suo collo veniva quindi utilizzata dagli artisti rinascimentali per enfatizzare la sua modestia e la sua umiltà.

Inoltre, la spilla poteva anche essere interpretata come un riferimento al "sigillo di verginità" di Maria, un simbolo della sua concezione verginale di Gesù. Questo dettaglio era importante per sottolineare la sua purezza e il suo status divino.

In sintesi, la presenza della spilla sul collo di Maria nelle rappresentazioni rinascimentali era un elemento iconografico volto a enfatizzare la sua virtù, modestia e santità, secondo le credenze religiose dell'epoca.

 

Il bambino e la mano di Maria

Carlo Starnazzi, famoso a livello mondiale per la scoperta del paesaggio aretino che sta dietro la Gioconda, Individuò nel movimento rotatorio e avvolgente del Bambino, che nel dipinto è sorretto da Maria con la mano destra, una possibile relazione tra la dinamica del movimento, disegnato e alcune tavole di Leonardo relative agli studi fisiognomici e anatomici, in particolare si fa riferimento ai fogli di Windsor, Royal Library, nn. 12513 e 12569.

 

Torsione del bambino

In questo rafforza poi l'ipotesi di un intervento riconducibile alla fase giovanile del genio di Vinci, rilevabile soprattutto nella torsione scattante del Bambino.

 

Il paesaggio dello sfondo

Si nota che è accennato e non definito, quasi evocato e non marcato, probabilmente è stato creato con un piccolo pennello facendo emergere in modo chiaro le tonalità azzurre che rendono maggiormente visibili gli studi sulla prospettiva aerea così come indicato nel suo Trattato della pittura:

 

Evvi un’altra prospettiva, la quale chiamo aerea imperocché per la varietà dell’aria si possono conoscere le diverse distanze di varî edifici terminati ne’ loro nascimenti da una sola linea, come sarebbe il veder molti edifici di là da un muro che tutti appariscono sopra l’estremità di detto muro d’una medesima grandezza, e che tu volessi in pittura far parer piú lontano l’uno che l’altro; è da figurarsi un’aria un poco grossa. 

 

Tu sai che in simil aria le ultime cose vedute in quella, come son le montagne, per la gran quantità dell’aria che si trova infra l’occhio tuo e dette montagne, queste paiono azzurre, quasi del color dell’aria, quando il sole è per levante. 

 

Adunque farai sopra il detto muro il primo edificio del suo colore; il piú lontano fàllo meno profilato e piú azzurro, e quello che tu vuoi che sia piú in là altrettanto, fàllo altrettanto piú azzurro; e quello che tu vuoi che sia cinque volte piú lontano, fàllo cinque volte piú azzurro; e questa regola farà che gli edifici che sono sopra una linea parranno d’una medesima grandezza, e chiaramente si conoscerà quale è piú distante e quale è maggiore dell’altro.”

 

Retro del supporto 

è stato disegnato il settore di una cornice a pigne e rose hanno forti similitudini con i disegni che si ritrovano all'interno della cornice del Tondo di Botticelli attualmente conservato nei Musei Civici di Palazzo Farnese a Piacenza.

La storia del dipinto

La storia del dipinto è legata alla figura dell'abate e umanista veneziano Pietro Dolfin.

Pietro Dolfin era un umanista veneziano del XVI secolo. Era noto per essere un mecenate delle arti e delle lettere, nonché un collezionista di libri e manoscritti antichi. Dolfin fu coinvolto nel patrocinio di numerosi artisti e letterati della sua epoca, contribuendo al fervore culturale e artistico della Venezia rinascimentale. La sua collezione di libri e manoscritti fu considerata una delle più importanti della sua epoca, e la sua figura rimane significativa per il suo ruolo nella promozione delle arti e della cultura nella Venezia del Rinascimento.

 

Dolfin e la congregazione Camaldolese

fu generale della Congregazione camaldolese dal 1481 fino al 1514. 

La Congregazione Camaldolese è un ramo dell'Ordine di San Benedetto, un'importante istituzione monastica all'interno della Chiesa cattolica. Fondata nel X secolo dal monaco benedettino San Romualdo, la Congregazione Camaldolese ha una lunga storia di vita monastica contemplativa e di ricerca spirituale.

I monaci camaldolesi seguono la Regola di San Benedetto e vivono una vita di preghiera, lavoro e comunità, ispirandosi al modello di vita eremitica di San Romualdo. La congregazione è caratterizzata dalla pratica della solitudine eremitica e dalla vita comunitaria all'interno dei monasteri, che spesso includono sia monaci eremiti che monaci cenobiti.

La spiritualità camaldolese enfatizza la ricerca della perfezione evangelica attraverso la preghiera contemplativa, la lettura spirituale, il lavoro manuale e la vita comunitaria. La Congregazione Camaldolese ha monasteri e eremi in diverse parti del mondo, anche se è particolarmente radicata in Italia, dove ha avuto origine.

 

Dolfin e Lorenzo de Medici

Lorenzo il Magnifico, fu un influente mecenate delle arti, politico e poeta fiorentino del XV secolo. È considerato uno dei principali mecenati culturali del Rinascimento italiano, sostenendo artisti come Botticelli, Leonardo da Vinci e Michelangelo. Lorenzo de' Medici giocò un ruolo cruciale nella promozione dell'arte e della cultura rinascimentale a Firenze.

Pietro Dolfin, d'altra parte, era un umanista veneziano del XVI secolo, quindi viveva e operava in un contesto e in un periodo diverso rispetto a Lorenzo de' Medici. Dolfin era noto anche lui per il suo mecenatismo delle arti e delle lettere, ma la sua influenza era principalmente concentrata a Venezia e nel suo territorio, mentre Lorenzo de' Medici era una figura predominante a Firenze.

Entrambi hanno contribuito al fervore culturale e artistico del Rinascimento italiano, ma ciascuno in contesti e con sfumature uniche.

 

1793

Dalle Note storiche di Padre Pietro Leopoldo di Vienna si apprende che l'opera era conservata nella cella di San Pietro, eretta nel Borgo di Mezzo dell'eremo camaldolese dal Dolfin stesso.

 

Cos'era la cella di San Pietro?

La "cella di San Pietro eretta nel Borgo di Mezzo dell'eremo camaldolese" sembra riferirsi a una struttura associata all'eremo camaldolese dedicata a San Pietro. Gli eremi camaldolesi sono monasteri o comunità religiose che seguono la Regola di San Benedetto e che appartengono alla Congregazione Camaldolese, un ramo dell'Ordine di San Benedetto.

Questi eremi sono caratterizzati dalla pratica della solitudine eremitica, in cui alcuni monaci vivono in isolamento, mentre altri conducono una vita comunitaria all'interno del monastero. La "cella di San Pietro" potrebbe essere una delle strutture all'interno di questo eremo, forse dedicata al santo.

Poiché gli eremi camaldolesi sono spesso situati in luoghi remoti e naturalmente belli, è possibile che questa cella sia stata eretta in un ambiente naturalistico, offrendo ai monaci un luogo di ritiro e contemplazione. Tuttavia, senza ulteriori informazioni specifiche, è difficile fornire dettagli più precisi sulla "cella di San Pietro" in questione.

 

Chi era Padre Pietro Leopoldo di Vienna?

Padre Pietro Leopoldo di Vienna, noto anche come Pietro Leopoldo di Lorena, fu un Granduca di Toscana durante il periodo dell'Illuminismo. Nacque il 5 maggio 1747 a Vienna e morì il 29 novembre 1792 a Vienna. Fu il figlio di Maria Teresa d'Austria e di Francesco I, Sacro Romano Imperatore, e quindi faceva parte della Casa d'Asburgo-Lorena.

Pietro Leopoldo fu Granduca di Toscana dal 1765 al 1790. Durante il suo regno, intraprese una serie di riforme radicali, spesso ispirate agli ideali dell'Illuminismo. Queste riforme includevano miglioramenti nell'amministrazione, nella giustizia, nell'istruzione e nella condizione dei contadini. Ad esempio, abolì la pena di morte e la tortura, introdusse nuove leggi sulla giustizia penale, promosse l'istruzione pubblica e tentò di migliorare le condizioni dei contadini attraverso la riforma agraria.

Le sue riforme gli valsero una certa fama come sovrano illuminato, anche se non tutte le sue politiche furono accettate con entusiasmo dalla popolazione toscana. Nel 1790, Pietro Leopoldo divenne l'Imperatore Leopoldo II del Sacro Romano Impero, succedendo a suo fratello Giuseppe II. Tuttavia, morì solo due anni dopo, nel 1792.

 

1862

 l'opera viene descritta come presente nel coretto basso della chiesa e stavolta attribuita a Domenico Ghirlandaio.
 

1968, 

l'allora direttore della National Gallery di Washington Sheldon Grossman la notò nell'ufficio del Padre superiore del monastero e la assegnò all'ambito di Andrea del Verrocchio.

 

1970

Un primo restauro, portò alla rimozione di ridipinture che coprivano lo sfondo.

 

2002

L'opera subisce un secondo intervento di restauro. 

 

2005

Carlo Starnazzi, famoso a livello mondiale per la scoperta del paesaggio aretino che sta dietro la Gioconda, ipotizzò la partecipazione alla realizzazione dell'opera di un giovane Leonardo da Vinci. 

 

2009

Secondo una completa analisi dell'opera, alcuni studiosi confermarono la definitiva attribuzione alla bottega di Verrocchio, intendendo quindi che vi potesse essere stata sia la mano di Leonardo da Vinci, come quella di Lorenzo di Credi o, addirittura, di Sandro Botticelli


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