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LEONARDO DA VINCI E CECILIA GALLERANI
1472-1473
Cecilia Gallerani nasceva a Milano da Fazio Gallerani e Margherita Busti, una delle donne più ammirate del suo tempo.
Spesso descritta come una donna di grande intelligenza, grazia e fascino, apprezzata per la sua cultura e la sua educazione, e si diceva che fosse in grado di svolgere conversazioni su una vasta gamma di argomenti, dall'arte alla letteratura alla politica.
Come nobildonna della antica famiglia Ghibellina senese dei Gallerani, famiglia potente grazie allo sviluppo nell'attiviità bancaria e nella mercatura. Il nonno Sigerio abbandonò Siena in quanto faceva parte del patriziato senese opposto i parenti di fede Guelfa per giungere e stabilirsi a Milano, dove operò nell'attività bancaria e nella mercatura.
Cecilia Gallerani non passava mai inosservata; avrebbe indossato abiti e gioielli lussuosi e di alta moda. Le donne della nobiltà del Rinascimento erano conosciute per il loro stile elegante e raffinato, e Cecilia non faceva certamente eccezione. Si sarebbe probabilmente vestita con tessuti pregiati, come velluti, sete e broccati, e avrebbe indossato gioielli elaborati, come collane, braccialetti, anelli e spille, per esprimere il suo status sociale e la sua ricchezza.
In questo dipinto Leonardo da Vinci volle rappresentarla nel pieno della sua giovinezza.
Cecilia Gallerani nacque nei primi mesi del 1472 o del 1473 a Milano, con molta probabilità nella casa familiare situata nella parrocchia della Basilica di San Simpliciano, nel cuore di Milano.
Questa basilica fu costruita in stile romanico durante il Medioevo e, in questo periodo, conservava la sua importanza come luogo di culto e centro religioso della città.
Nota per la sua profonda cultura letteraria, era considerata, malgrado la giovane età, una abile scrittrice e poetessa, amante dell'arte e della lingua. Era solita frequentare scrittori e poeti, ma anche musicisti e artisti e pittori.
Discendeva per parte paterna da una famiglia originaria di Siena e trapiantatasi a Milano. Aveva una sorella, Zaneta, e ben sei fratelli (Sigerio, Ludovico, Giovanni Stefano, Federico, Giovanni Francesco e Giovanni Galeazzo).
1455
I suoi genitori erano Fazio Gallerani e Margherita Busti.
Il padre Fazio Gallerani
E' stato un nobile italiano del XV secolo, noto soprattutto per essere stato un mecenate delle arti e un possibile soggetto di un famoso dipinto di Leonardo da Vinci.
Nacque a Milano intorno al 1444. Era un uomo di grande influenza e ricchezza, appartenente a una famiglia nobile della città.
Fu coinvolto nella politica e nella vita sociale di Milano durante il periodo della Signoria di Ludovico il Moro.
Gallerani fu un mecenate delle arti, sostenendo e incoraggiando artisti e letterati dell'epoca. Fu patrono di vari pittori rinomati, tra cui Leonardo da Vinci.
Il dipinto più noto associato a Fazio Gallerani è il "Ritratto di una dama", comunemente noto come "La dama con l'ermellino", eseguito da Leonardo da Vinci intorno al 1489-1490. Si crede che la donna raffigurata nel dipinto sia Cecilia Gallerani, una delle amanti di Ludovico il Moro, e che Fazio Gallerani possa essere stato il committente del ritratto.
Dopo la caduta della Signoria di Ludovico il Moro nel 1499, la vita di Fazio Gallerani è oscura. Si dice che abbia continuato a vivere a Milano, ma non ci sono molte informazioni documentate sulla sua vita successiva.
La madre Margherita Busti
Figlia di Lorenzo Busti, non è così famosa come suo marito, ma ha avuto un ruolo importante nella vita sociale e culturale della Milano rinascimentale, soprattutto come moglie di un mecenate delle arti. Tuttavia, le informazioni su di lei sono scarse e ci sono poche fonti documentate sulla sua vita e sulla sua relazione con Fazio Gallerani.
1467
Fazio risulta svolgere il ruoli di ambasciatore per Milano per incarico diretto di Ludovico il moro.
1470
Gia ambasciatore di Milano, fu nominato anche di Lucca. Il ducato degli Sforza prevedeva che l'ambasciatore del ducato fosse esente da ogni forma di tassazione per se e per i suoi membri familiari
E' presumibilmente in quest'anno che Leonardo da Vinci si accinge a dipingere la bella Cecilia Gallerani in quello che successivamente verrà universalmente riconosciuta come “la bella ferronnière”. Ludovico il Moro ebbe modo di vedere Leonardo al lavoro, ma non siamo in grado di documentarne il luogo esatto.
1476, 26 dicembre
Il Moro, amante delle lettere e con una grande predisposizione verso la politica e il governo, venne inizialmente relegato a trascorrere una vita marginale come personaggio secondario; questo almeno fino a quando, il 26 dicembre 1476, non venne assassinato il fratello maggiore Galeazzo Maria Sforza. Il nuovo governo venne affidato alla vedova Bona di Savoia, come reggente per il figlio minorenne Gian Galeazzo Maria Sforza, e al consigliere Cicco Simonetta; ma il cripto-governo del Simonetta venne malvisto e così, dopo una serie di burrascose vicende.
1479
Dal 1479 il Moro aveva anche ottenuto il Ducato di Bari dal re napoletano Ferdinando I d'Aragona.
Non è noto quando avvenne di preciso il primo incontro tra Cecilia e il Moro, ma è noto che i Gallerani appartenevano a quelle famiglie che costituivano l'apparato burocratico della corte degli Sforza e, inoltre, rapporti diretti tra la famiglia e il Moro sono documentati già dal 1489. Infatti, al maggio di quell'anno risale una petizione firmata e depositata a corte da Cecilia e dai fratelli, nella quale, vista la situazione economica familiare poco stabile, chiedono di tornare proprietari delle terre di cui sono eredi e che, probabilmente, vennero confiscate quando il padre era ancora in vita; il motivo di mettere in atto questa operazione poteva essere dovuto al fatto che i Gallerani si sentissero probabilmente forti del solido appoggio del Moro.
Il Moro dovette egli stesso intervenire personalmente per fare da paciere tra la famiglia dei Gallerani e quella dei Taverna, ponendosi a favore di Sigerio Gallerani, fratello di Cecilia, anche se fu proprio quest'ultimo ad aver causato i dissidi, poiché s'era macchiato dell'omicidio di un membro familiare dei Taverna. Infine, è importante notare che, al momento della suddetta petizione, Cecilia non era più dimorante nella casa paterna, ma risulta domiciliata in una non meglio specificata abitazione situata nella parrocchia del Monastero Nuovo; quest'ultima dimora potrebbe essere il luogo predisposto dal Moro per i suoi incontri amorosi con la giovane Cecilia.
1480, 29 novembre
Fazio lasciò i suoi averi per testamento ai sei figli maschi, designati tutti eredi universali, mentre alle due figlie femmine lasciò 1000 ducati ciascuna.
1480, 5 dicembre
Il padre morì lasciando alla moglie la tutela degli otto figli.
1480
il Moro riuscì a farsi proclamare egli stesso reggente, divenendo de facto il nuovo duca di Milano (poi de iure dal 1494).
1482
Giacomo Trotti fu a Milano già dal 17 maggio 1482 e qui riuscì a intrecciare una fitta rete di relazioni e ad entrare nelle grazie dello Sforza. Fu proprio il Trotti a gestire, con Eleonora d'Aragona, le trattative che portarono a firmare il contratto matrimoniale fra il Moro e la futura moglie.
1483
Cecilia, che ha dieci anni, viene promessa dalla madre Margherita in sposa a Giovanni Stefano Visconti di Crenna, figlio di Francesco Visconti e Ginevra Corti, più grande di lei di ben ventiquattro anni.
Le nozze premature vennero stabilite per evitarle la vita monastica, allora normale consuetudine per le figlie femmine che non si sposavano.
Questa unione mancata potrebbe essere spiegata dal presentarsi di un più allettante partito per i Gallerani, l'ancora scapolo Ludovico Sforza, detto il Moro.
Vincenzo Calmeta, segretario di Beatrice d'Este, traccia una breve biografia di Cecilia, dicendo che, non potendo i suoi parenti combinarle un matrimonio convenevole alla sua posizione a causa della ristrettezza finanziaria, "piccolina la messero [misero] in un monastero, dove ella crescendo in tempo e in virtute, pervenne la fama delle sue bellezze e maniere sue all'orecchie di Lodovico Sforza, il quale, essendo senza mogliere né ancora assunto al Ducato di Milano, s'innamorò della fama di questa giovinetta".
Amante di Ludovico Sforza, detto il Moro.
Ludovico era il quartogenito dei sei figli maschi dei duchi milanesi Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, ma è meglio noto con l'appellativo di "Moro", poiché era scuro di carnagione e aveva occhi e capelli di colore nero.
1487
Cecilia avrebbe dovuto convolare a nozze al compimento dei suoi dodici anni, ma questo matrimonio non verrà mai più celebrato. Infatti, per ragioni oscure, l'attesa delle nozze si prolungò per anni, fino a quando la promessa non venne sciolta formalmente nel 1487.
1488
“… Cara Cecilia, ho molto pensato al nostro ultimo incontro e alle vostre parole circa il vostro rapporto con il cavaliere Ludovico. Non mi pare cosa giusta che di un amore di una tal bellezza non rimanga testimonianza alcuna, benché comprenda li impedimenti rappresentati dal matrimonio con la Duchessa Beatrice d’Este. Ma giacché in un dipinto si può nascondere un velato segreto, presterò le mie mani e la mia arte ad un vostro ritratto e metterò nelle vostre mani quello che il vostro cuore ebbe per sempre…”
Cecilia legge queste righe firmate Leonardo Da Vinci e siamo nel periodo in cui l’artista fiorentino soggiornava presso la corte degli Sforza a Milano alle dipendenze di Ludovico il Moro; qui Leonardo conobbe la giovanissima e bellissima donna con la quale strinse un rapporto molto stretto e della quale divenne stretto confidente. Lei vive a Milano ed è di origine senese, nata in via delle Cerchia – pieno centro storico dove oggi palazzo Gallerani si apre di tanto in tanto al pubblico nella sua magnificenza – e la storia di cui si parla nel carteggio è quella che la legava a Ludovico Maria Sforza, meglio noto come Ludovico il Moro, dalla quale nascerà Cesare, ma all’epoca dell’esecuzione de La dama con l’Ermellino (esposta al Castello del Wawel di Cracovia) il genio non lo poteva sapere.
1489
infatti, Cecilia ha solo sedici anni ed è ancora nubile, perciò il fatto che vivesse indipendentemente in un'altra casa, diversa da quella paterna, e senza che si vedesse costretta a rifugiarsi in un convento per proseguire gli studi, denota già la presenza del Moro nella sua vita.
1489, estate
La presenza di Cecilia a corte è testimoniata da una lettera dello stesso ambasciatore, risalente all'estate 1489, in cui attribuisce la causa di un certo malessere del Moro al "troppo coito di una sua puta che prese presso di sé, molto bella, parecchi dì fa, la quale gli va dietro dappertutto, e le vuole tutto il suo ben e gliene fa ogni dimostrazione". Il termine "puta", ossia "bambina", indica che Cecilia dovesse essere ancora giovanissima, appunto sedicenne.
1490 circa
È databile intorno al 1490 la presenza ufficiale di Cecilia alla corte sforzesca e notizie fondamentali sulla sua vita cortigiana sono ricavate dai resoconti di Giacomo Trotti, un notaio, funzionario e amministratore alla corte degli Este e appartenente ad una delle antiche trentaquattro famiglie nobili che contribuirono alla fondazione di Ferrara. Il Trotti era stato inviato dal duca Ercole I come ambasciatore estense alla corte del Moro, dopo che la sua famiglia, che era riuscita a costruire un vero impero economico e un potere smisurato, nel 1482 era divenuta il duro bersaglio della rabbia del popolo ferrarese, che unanimemente riconosceva nei Trotti i colpevoli degli insopportabili disagi economico-istituzionali e il casus belli, per convenienza personale, della scesa in guerra dello Stato contro la Repubblica di Venezia.
1490, 8 novembre
In una lettera datata 8 novembre 1490, Giacomo spiegò al duca di Ferrara le proprie congetture sul perché Ludovico, prendendo come scusa le difficoltà del viaggio, insistesse affinché la suocera Eleonora rimanesse a Ferrara e non accompagnasse, come previsto, la figlia Beatrice a Milano: secondo l'ambasciatore, Ludovico insisteva per evitare che la suocera si opponesse alla presenza in castello di Cecilia, "a la quale il vole tuto il suo bene, et è gravida et bella come un fiore". Cecilia, infatti, era in attesa di un primo figlio.
Nondimeno l'ambasciatore rassicurava il duca dicendo che non c'era da preoccuparsi, in quanto il Moro se ne sarebbe stancato presto da sé, senza bisogno di fargli troppe pressioni.
All'arrivo della sposa a Milano si venne a creare una situazione incresciosa, poiché Ludovico non riuscì a consumare il matrimonio la prima notte di nozze, né in quelle successive. La mancanza non derivava da lui, bensì dalla sposa che, inizialmente entusiasta all'idea delle nozze, all'arrivo a Pavia s'era fatta improvvisamente schiva e silenziosa; "mezza persa" la definisce Giacomo Trotti.
Beatrice non provava alcuna attrazione verso il trentottenne marito e si ribellava a ogni suo tentativo di possederla. Ludovico, come spiegò alla suocera, non voleva forzarla per non farle dispiacere e preferiva attendere con pazienza che fosse disposta a concedersi spontaneamente. Inizialmente comprensivi verso la timidezza della figlia, sperando infatti che la situazione si sarebbe risolta nel giro di pochi giorni, i duchi di Ferrara iniziarono a fare pressioni sui coniugi quando videro che dopo alcune settimane il matrimonio risultava ancora in bianco.
Sebbene l'inadempimento fosse tenuto strettamente segreto (all'infuori degli sposi, solo i duchi di Ferrara, l'ambasciatore Trotti e Galeazzo Sanseverino ne erano al corrente), comunque la situazione era rischiosa, poiché senza consumazione il matrimonio era invalido e passibile in ogni momento di annullamento.
Giacomo Trotti ascoltava le confidenza del Moro, che lo teneva aggiornato dei progressi fatti in letto con Beatrice, e riferiva poi il tutto al duca Ercole. Proprio da questa corrispondenza veniamo a sapere che Ludovico aveva optato per una strategia seduttiva: blandiva la moglie con baci e carezze, cui aggiungeva ricchissimi doni quotidiani, e dormiva abbracciato con lei per tutta la notte, ma ancora a metà febbraio non era riuscito a concludere nulla: se ne lamentava col Trotti, dicendo di avere intenzione di recarsi da Cecilia e di trascorrere tutta la notte con lei in piacere, «poiché sua molgere [moglie] cussì voleva, per non volere stare ferma»,
e che quando andava nel suo letto ella "mostrava non il sentire, fingendo de dormire, dicendome che la sta salvaticha et vergognosa pure al sollito".
L'ambasciatore a sua volta rimproverava Beatrice della sua frigidità e la invitava a mettere «da canto tanta vergogna», poiché «gli homini vogliono essere ben veduti et acarezati, come è giusto et honesto, da le mogliere», ma senza troppo successo, in quanto ella gli si mostrava «un poco selvaggetta».
La vera e propria consumazione avvenne, parrebbe, nel marzo-aprile, quando le lettere di lamentele del Trotti si trasformarono in elogi rivolti dal Moro alla moglie.
Adesso egli dichiarava di non pensare più a Cecilia, ma solo a Beatrice, «a la quale el vole tutto il suo bene, et de epsa piglia gran piacere per li suoi costumi et bone maniere», lodandola perché «la era lieta de natura [...] et molto piacevolina et non mancho modesta».
Ludovico giurava e spergiurava di non aver toccato più Cecilia dal secondo giorno di Carnevale, poiché era ormai troppo in là con la gravidanza («essendo grossa come l'è»), e di non avere intenzione di toccarla mai più neppure dopo che avesse partorito.
1491, 17 gennaio
E lo stesso Moro era ancora celibe a quel tempo, poiché si sposerà solo il 17 gennaio 1491 a Pavia con l'allora quindicenne Beatrice d'Este, figlia del duca Ercole I d'Este e sorella di Isabella d'Este e Alfonso I d'Este (futuro duca di Ferrara).
Prendendo a esame una lettera del luglio 1484 (o 1485[6]) in cui Ludovico racconta "del piacere ch'io prehendo già alchuni dì fa cum una giovane milanese, notabile de sangue, honestissima et formossa quanto più havesse possuto desiderare", sorella di un Galeazzo Gallerani, alcuni storici hanno supposto che la relazione con la giovanissima Cecilia, all'incirca quattordicenne, fosse cominciata proprio in quei giorni. Del resto la sorella maggiore Zanetta era già amante di Luigi Terzago, presunto figlio bastardo del condottiero Jacopo Piccinino, nonché segretario del Moro. Quest'ultimo avrebbe senz'altro avuto modo, tramite il proprio segretario, di scoprire già allora la bellezza dell'adolescente Cecilia.
Vita alla corte degli Sforza
Ma anche all'avvicinarsi delle nozze ducali e dopo l'unione del Moro con la principessa estense, la relazione tra lui e la Gallerani non si arrestò. Secondo il Calmeta, Ludovico, finché non si sposò, la trattava con tutte quelle premure e quegli onori "che non a femina, ma a mogliere [moglie] sariano state convenienti".
1491, 3 maggio
Così, dopo la nascita del figlioletto Cesare, Cecilia fu allontanata dalla corte da Ludovico, che le predispose un nuovo appartamento sempre in città, donandole il palazzo che aveva confiscato a Pietro dal Verme.
È possibile che l'allontanamento di Cecilia non fosse immediato, ma che rimanesse nel Castello Sforzesco almeno fino all'anno successivo al parto.
Non sembra, comunque, che Beatrice fosse particolarmente gelosa di Cecilia, anzi la sua presenza le fece comodo, inizialmente, per deviare da sé i desideri del marito. Isabella d'Aragona, sua cugina, dichiarava di dolersi molto di più della presenza di Cecilia che non la stessa Beatrice. Stando infatti alla sua testimonianza - mediata dalle lettere del Trotti - Beatrice dichiarava di essere perfettamente a conoscenza della relazione extra-coniugale del marito, ma di fare finta di nulla:
"La duchessa de Milano [Isabella] dixe [che] a lei molto più doleva de la Cecilia, che non a la duchessa de Bari [Beatrice], la quale saveva e intendeva il tutto, e le haveva dicto che fingeva non savere cosa alcuna, come se niente fosse, ma che non era sì ignorante e grossa [stupida] che non savesse e intendesse ogni cosa".
Quando Ludovico le comunicò, con molta delicatezza, la nascita di Cesare, Beatrice se ne mostrò contenta. L'unica scenata di gelosia che gli fece fu relativa non alla sfera sessuale, bensì a quella degli onori di corte: quando scoprì che il marito aveva fatto confezionare un abito uguale per lei e per l'amante, si adirò tantissimo e pretese che Cecilia non lo indossasse. Ciò avrebbe infatti significato porre entrambe le donne sul medesimo livello, sebbene Ludovico giurasse che la stoffa dell'abito della moglie fosse ben più preziosa rispetto a quella dell'abito donato a Cecilia.
Egli tuttavia non riuscì a mantenere la promessa fatta alla moglie, o meglio la mantenne non per propria volontà:
1491, giugno
il solito Trotti informa il duca Ercole di una confessione fattagli dal Moro, il quale non aveva resistito, in assenza della moglie, alla tentazione di fare una scappata di cinque giorni a Milano con la precisa intenzione di sollazzarsi con Cecilia. Il piano non era andato a buon fine - almeno a detta del Moro - solo per la decisa opposizione della donna, perché sebbene Ludovico "seria stato in ordene [prontissimo], da valenthomo", non c'era stato verso di persuadervi Cecilia, che non aveva voluto acconsentire per nessuna ragione a concedersi. La serenità di Beatrice comunque non durò molto, poiché nel giro di pochi anni un'altra donna finì tra le braccia del marito: Lucrezia Crivelli.
Matrimonio e vita intellettuale
La cosiddetta Villa Medici del Vascello a San Giovanni in Croce, un tempo residenza di Cecilia Gallerani e del marito
Cecilia, sia alla nascita del figlio sia quando era ormai stata allontanata dalla corte sforzesca, ricevette in cambio la donazione di diversi immobili e beni.
1491, 18 maggio
Ad esempio, il 18 maggio 1491, poco tempo dopo il parto, ricevette in dono dal Moro il feudo di Saronno, nel territorio di Varese.
1492
risalgono le sue nozze con il conte Ludovico Carminati di Brembilla, anche noto come Ludovico Bergamini, feudatario di San Giovanni in Croce. fu un notabile del XV secolo che detenne la signoria di San Giovanni in Croce, un piccolo comune situato nella provincia di Cremona,ed apparteneva ad una delle più note famiglie della Val Brembilla
1493
Cecilia, inoltre, era amante della letteratura e iniziò a frequentare vari poeti e intellettuali, come Matteo Bandello divenne frate domenicano, ma in seguito abbandonò il convento per dedicarsi alla carriera letteraria e al servizio diplomatico che scrisse di lei
«la troppa familiarità partorisce disprezzamento» e proprio riguardo a questo argomento racconta che «si parlava di questa materia in casa de la gentilissima e dotta signora Cecilia Gallerana contessa Bergamina e varie cose si dicevano, quando messer Gian Angelo Vismaro, che là si trovò in compagnia di molti gentiluomini, [...] narrò ciò che una volta fece il capitano Biagino Crivello».
Il racconto prosegue con la trascrizione che il Bandello fece dell'aneddoto del Vismaro, che costituisce la Novella XXVI della Parte III.
Gian Giorgio Trissino, umanista, poeta, drammaturgo, e linguista italiano del Rinascimento. È noto soprattutto per il suo ruolo nella riforma della lingua italiana e per essere stato uno dei primi ad utilizzare l'endecasillabo nella poesia italiana.
Trissino è stato uno dei primi a teorizzare l'uso dell'endecasillabo, una forma metrica di undici sillabe, che divenne uno degli elementi distintivi della poesia italiana del Cinquecento. Infine Bernardo Bellincioni, ch'era un poeta fiorentino trasferitosi a Milano e scrisse per lei vari sonetti celebrativi e, tra questi possiamo ricordare un sonetto del 1493 chiamato "Sopra il ritratto di Madonna Cecilia, qual fece Leonardo".
Di che ti adiri?
A chi invidia hai Natura /
Al Vinci che ha ritratto una tua stella: Cecilia! sì bellissima oggi è quella /
Che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura. L'onore è tuo, sebben con sua pittura / La fa che par che ascolti e non favella: Pensa quanto sarà più viva e bella, /
Più a te fia gloria in ogni età futura. Ringraziar dunque Ludovico or puoi /
E l'ingegno e la man di Leonardo, Che a' posteri di te voglia far parte./
Chi lei vedrà così, benché sia tardo, Vederla viva, dirà: Basti a noi /
Comprender or quel eh' è natura et arte.
E fu proprio grazie al contatto con questi eruditi che la Gallerani iniziò a diventare esperta in latino e a scrivere in versi dei suoi propri componimenti, creando anche una sua piccola corte a Palazzo Carmagnola; quest'ultimo divenne uno dei primi circoli letterari della storia e qui nascerà la moda della conversazione e dei giochi di società. Anche nella dimora del marito Cecilia tenne numerosi incontri con artisti, poeti e letterati, trasformando la villa in un luogo ospitale, aperto a personalità di alta levatura culturale.
1496, 14 settembre
Nel Palazzo Carmagnolala Gallerani accolse anche gli ambasciatori di Venezia a Milano.
Tra i suoi illustri contatti del periodo, vi sono Cecilia, inoltre, era amante della letteratura e iniziò a frequentare vari poeti e intellettuali, come Bernardo Bellincioni, e Gian Giorgio Trissino.
Chi erano?
Bernardo Bellincioni
E' stato un poeta italiano del Rinascimento, attivo nel XV secolo. È noto soprattutto per essere stato poeta di corte per Lodovico Sforza, il Duca di Milano e mecenate di Leonardo da Vinci. Bellincioni compose elogi e sonetti dedicati a Lodovico Sforza e si impegnò in tenzoni poetiche con altri letterati dell'epoca.
Una delle opere più note di Bellincioni è "La festa del Paradiso", un libro scritto in occasione del matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona. Questo lavoro includeva versi e poemi utilizzati per elaborare maschere allegoriche e poemi recitati durante le celebrazioni.
Bernardo Bellincioni è anche ricordato per un sonetto che compose sul ritratto di Cecilia Gallerani, spesso identificata come la donna raffigurata in "La dama con l'ermellino" di Leonardo da Vinci. In questo sonetto, Bellincioni esalta la bellezza di Cecilia, definendola "l'invidia della natura".
È interessante notare che Leonardo da Vinci stesso ritrasse Bellincioni, e un disegno di questo ritratto fu utilizzato come modello per un'edizione delle rime di Bellincioni pubblicata nel 1493.
Matteo Bandello
E' stato uno scrittore italiano del XVI secolo, noto principalmente per le sue novelle. Nato nel 1480 a Castelnuovo Scrivia, nel Piemonte, Bandello trascorse gran parte della sua vita tra Milano e la corte di Ludovico Sforza.
Le novelle di Bandello sono considerate una delle prime forme di narrativa realistica italiana e hanno influenzato molti scrittori successivi, tra cui William Shakespeare. Le sue storie sono spesso caratterizzate da trame intricate, personaggi vividi e una varietà di temi, tra cui l'amore, la gelosia, l'ingiustizia e il tradimento.
Bandello è conosciuto anche per la sua amicizia con Leonardo da Vinci, che lo influenzò nella sua ricerca di precisione e dettaglio nelle descrizioni. Inoltre, Bandello fu coinvolto in varie missioni diplomatiche al servizio dei duchi di Milano.
Una delle opere più famose di Bandello è la sua raccolta di novelle, intitolata "Novelle", pubblicata in diverse edizioni tra il 1554 e il 1573. Questa raccolta include una vasta gamma di storie, molte delle quali sono state successivamente adattate in opere teatrali, romanzi e altre forme di narrativa.
Gian Giorgio Trissino
E' stato un umanista, poeta e drammaturgo italiano del Rinascimento, noto soprattutto per il suo ruolo nella riforma della lingua italiana e per il suo trattato sulla poesia italiana.
Nato nel 1478 a Vicenza, Trissino ricevette un'educazione umanistica e studiò a Padova e a Roma. Durante il suo tempo a Roma, entrò in contatto con alcuni dei maggiori intellettuali del Rinascimento, tra cui Pietro Bembo e Baldassarre Castiglione.
Trissino è famoso soprattutto per il suo lavoro "La Sofonisba", una tragedia classica scritta in versi italiani e basata sulla vita della principessa cartaginese Sofonisba. Quest'opera fu una delle prime tragedie italiane e rappresentò un importante contributo alla drammaturgia rinascimentale italiana.
Oltre alla sua attività di drammaturgo, Trissino è noto anche per il suo trattato sulla poesia italiana, intitolato "La Poetica". In questo lavoro, Trissino propose una serie di regole e principi per la poesia italiana, contribuendo così alla standardizzazione e alla codificazione della lingua poetica.
Uno dei contributi più significativi di Trissino alla lingua italiana fu l'introduzione della distinzione tra vocali lunghe e brevi, un concetto che influenzò profondamente lo sviluppo della fonetica italiana.
Trissino fu anche coinvolto nella costruzione della Villa Trissino a Cricoli, vicino a Vicenza, un capolavoro dell'architettura rinascimentale progettato da Andrea Palladio.
1498, 26 aprile
Isabella scrisse a Cecilia una lettera, nella quale le chiese di poter vedere personalmente il dipinto realizzatole da Leonardo, perché voleva fare un confronto stilistico con alcuni quadri di Giovanni Bellini di sua proprietà.
1498, 29 aprile
La Gallerani le rispose tre giorni dopo, il 29 aprile, dicendole che avrebbe provveduto immediatamente, ma avvisandola che quel ritratto non le assomigliava più poiché riferibile alla sua giovinezza.
1498, maggio
Dopo la breve trasferta del dipinto a Mantova, questo ritornò nelle mani della Gallerani, come fa presupporre una lettera datata al 18 maggio e inviata da quest'ultima alla marchesa.
1499
Ma i rapporti tra Cecilia e Isabella continuarono anche in seguito alla vicenda del dipinto. Infatti, nel 1499 il Moro venne sconfitto e deposto dai Francesi di re Luigi XII. Costretti alla fuga da Milano, dopo aver subito anche la confisca dei beni, Cecilia e il marito trovarono protezione e asilo proprio dalla marchesa Isabella e fu sempre grazie a lei che i coniugi riuscirono a tornare in possesso dei propri beni una volta rientrati successivamente in patria.
1499
Questo territorio le verrà successivamente confiscato alla caduta del Moro, nel 1499, passando poi al nobile milanese Giovanni Stefano Castiglioni, che sia nel 1508 e sia nel 1513 le dovette devolvere una somma pecuniaria a titolo di risarcimento.
1500, 17 aprile
Dopo la sconfitta, il 17 aprile 1500 il Moro venne prelevato dal castello di Novara e tradotto in Francia, dove rimase prigioniero fino alla morte, avvenuta il 17 maggio 1508 a Loches. Invece, anche durante il periodo francese, Cecilia continuò a vivere serenamente e a frequentare poeti e letterati, presumibilmente fino alla sua stessa morte.
Isabella d'Este ospitò a Mantova Cecilia Gallerani, che nel 1503 fu madrina al battesimo di Isabella Sforza, figlia naturale riconosciuta di Giovanni Sforza, signore di Pesaro, espulso dalla città da Cesare Borgia.
Morte e sepoltura
Chiesa di San Zavedro a San Giovanni in Croce, luogo di sepoltura di Cecilia Gallerani
A detta di Vincenzo Calmeta, Cecilia "nel processo del viver suo [...] visse con tanta maiestà e continenza che tutti gl'ingegni della sua età da sommo desiderio di conoscerla erano accesi".
1536
Non si sa con certezza quando morì Cecilia Gallerani, ma lo storico Felice Calvi riporta nel suo Famiglie notabili milanesi (1874) che visse fino al 1536, quindi ad un'età compresa tra i 62 e i 63 anni.
La Chiesa di San Zavedro a San Giovanni in Croce, fu il luogo di sepoltura di Cecilia Gallerani
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