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LEONARDO DA VINCI: ANNO 1482

1482, primavera

Inviato da Lorenzo il Magnifico, si trasferisce a Milano presso la corte sforzesca, in compagnia del giovane musico Atalante Migliorotti, suo assistente nella bottega fiorentina e del meccanico Tommaso Masini, conosciuto anche come Zoroastro da Peretolarecando in dono uno strumento musicale. 

 

Ma chi erano i suoi compagni di viaggio?

 

Atalante Migliorotti 

Dopo essere stato allievo di Leonardo che gli insegnò musica, andò a Milano nel 1483 per accompagnare il suo maestro. Quello stesso anno, Leonardo dipinse il suo ritratto, probabilmente perso. Nel 1491, in accordo con i desideri di Isabella d'Este, cantò l'omonima parte dell'opera Orfeo presentata a Marmirolo. A quel tempo iniziò ad essere riconosciuto come un liutaio.

Nel 1493 Isabella d'Este gli ordinò una chitarra e nel 1505 scrisse in un messaggio al marchese di Mantova che aveva costruito una lira a dodici corde.

Fu anche impiegato come coordinatore dei lavori di costruzione della basilica di San Pietro.

 

Tommaso Masini

Tommaso Masini da Peretola, noto anche con lo pseudonimo di Zoroastro (Peretola, 1462 circa – Roma, 1532 circa), fu un amico e collaboratore di Leonardo Da Vinci, vissuto a cavallo tra il XV secolo e il XVI secolo.uscì da Firenze in compagnia di Leonardo Da Vinci, con il quale aveva stretto amicizia, e lo scortò nel viaggio che li condusse tutti e tre presso la corte sforzesca di Milano, ove Zoroastro fu impiegato come meccanico e "mago".

 

Una descrizione è fornita da Scipione Ammirato in uno dei suoi Ritratti.

 

«Zoroastro hebbe nome Tommaso Masini da Peretola presso di Firenze un miglio. Fu figliuolo d'on ortolano, ma diceva esser figliuolo di Bernardo Rucellai cognato del Magnifico Lorenzo. Si mise poi con Lionardo Vinci, il qual gli fece una veste di gallozzole, onde fu per un gran tempo nominato il Gallozzolo. Andò Lionardo a Milano, et seco andò Zoroastro, et ivi fu chiamato l'indovino facendo professione d'arte Magica. Venne poi a Roma, ove s'accomodò con Giovanni Rucellai Castellan di Sant'Agnolo, et poi col Viseo Ambasciador di Portugallo, il qual fu poi creato Cardinale, et finalmente con Ridolfi, ove fu cognominato Zoroastro. Dilettossi sopra modo di miniere. Approvava l'opinione de Demetrio di cangiarsi i nomi per i vani storpiamenti che pativa in contado dalla gente rozza nel suo nome, chi chiamandolo Chialabastro,e chi Alabastro, di che forte s'adirava. Finalmente si morì, et fu posto in Santa Agata fra il Tressino, et il Signor Giovanni Lascari. Nella sua sepultura sta un Angelo con un par di tanaglie et con un martello, et batte un ossame d'un busto d'huomo morto, dinotando la fede, che egli haveva nella risurrezione. Non harebbe ucciso una pulcia per gran cosa, si volea vestir di lino per non portar addosso cosa morticcia.»

 

Chi era Scipione Ammirato?

Scipione Ammirato è stato un importante storico e scrittore italiano del XVI secolo, noto soprattutto per le sue opere storiche e politiche. Nacque il 29 giugno 1531 a Lecce, nel Regno di Napoli, e morì il 17 gennaio 1601 a Firenze.

Ammirato è famoso soprattutto per la sua opera "Storie fiorentine", una storia dettagliata di Firenze, dalla sua fondazione fino al XVI secolo. Quest'opera è ancora oggi considerata una delle fonti più importanti per la storia della città durante il Rinascimento. Oltre alle "Storie fiorentine", Ammirato scrisse diverse altre opere storiche, politiche e letterarie.

Nel corso della sua vita, Ammirato ricoprì anche ruoli politici e amministrativi, servendo come consigliere e funzionario in diverse città italiane. Fu un membro attivo dell'Accademia Fiorentina, un importante centro culturale e letterario del Rinascimento.

La sua opera storica e il suo impegno intellettuale contribuirono in modo significativo alla comprensione e alla conservazione della storia italiana e fiorentina del suo tempo.

1482: 

Fa scrivere una lettera, molto probabilmente da un amico del quale non si hanno informazioni. Lo scopo che vuole ottenere Leonardo è quello di “rappresentarsi” nelle sue abilità tecnologiche e militari agli occhi del potente ed influente signore di Milano, Ludovico il Moro.

 

Ma la lettera perchè non è stata scritta dallo stesso Leonardo?

Malgrado si pensi che la lettera sia stata vergata di suo pugno, le cose non stanno cosi. 

In effetti, gli esperti convergono sul fatto che la lettera sia stata scritta “in bella grafia” e soprattutto non in modo speculare, tipica caratteristica di scrittura di Leonardo. E' questo il motivo? Probabilmente no. 

Il fatto che Leonardo abbia scelto di non scriverla personalmente, può significare che si sia affidato ad un amico, molto semplicemente per il fatto che riteneva questa persona degna della sua fiducia con una scrittura che stilisticamente gradiva. Leonardo avrebbe potuto scriverla senza problemi in quanto solo per il fatto sapesse scrivere in modo speculare, sapeva scrivere perfettamente in modo normale; è stata solo una sua scelta. 

 

La lettera è stata scritta sotto dettatura?

Probabilmente si. In effetti, scorrendo nella lettura del testo, si vede che vi sono delle cancellazioni, dei ripensamenti e questo poteva accadere solo se si fosse trattato di" una brutta copia", creata per poi essere trascritta in “bella copia”, senza errori. 

Eppure questo non è accaduto. Si vede chiaramente che le cancellazioni rimangono.

 

La lettera può rappresentare il curriculum di Leonardo?

Il documento chiamato anche "Curriculum Vitae et Studiorum" è probabilmente il primo esempio di curriculum vitae nella storia.  

Nel suo curriculum, Leonardo descrive le sue abilità e le sue esperienze professionali, offrendosi come ingegnere militare, architetto e scultore. Descrive anche le sue competenze in vari campi, dall'ingegneria idraulica alla progettazione di armi e macchine da guerra, oltre alle sue capacità artistiche come pittore e scultore.

 

1482

Inviato da Lorenzo il Magnifico, si trasferisce a Milano presso la corte sforzesca, recando in dono uno strumento musicale. 

Elabora studi grafodinamici per la Madonna del gatto. 

curriculum vitae di Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci, Lettera a Ludovico il Moro 1485 circa, facsimile - fa parte del Codice Atlantico, f. 1082r - Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana
 

Leonardo scrive al Moro una «lettera di impiego», una vera e propria autocandidatura in dodici punti. 

- Ho modi de ponti leggerissimi et forti, et atti ad portare facilissimamente, et cum quelli seguire, et alcuna volta fuggire li inimici, et altri securi et inoffensibili da foco et battaglia, facili et commodi da levare et ponere. Et modi de arder et disfare quelli de l’inimico.

 

- So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua de’ fossi, et fare infiniti ponti, gatti et scale et altri instrumenti pertinenti ad dicta expedizione.


- Item, se per altezza de argine, o per fortezza di loco et di sito, non si potesse in la obsidione de una terra usare l’officio de le bombarde, ho modi di ruinare omni rocca o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el saxo.

 

- Ho ancora modi de bombarde commodissime et facile ad portare, et cum quelle buttare minuti (saxi a similitudine) di tempesta; et cum el fumo di quella dando grande spavento all’inimico, cum grave suo danno et confusione.


- Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender et defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni g[r]ossissima bombarda et polver & fumi.


- Item, ho modi, per cave et vie secrete et distorte, facte senza alcuno strepito, per venire (ad uno certo) et disegnato[loco], ancora che bisognasse passare sotto fossi o alcuno fiume.


- Item, farò carri coperti, securi et inoffensibili, e quali intrando intra li inimica cum sue artiglierie, non è sì gran de multitudine di gente d’arme che non rompessino. Et dietro a questi poteranno seg[ui]re fanterie assai, illesi e senza alcuno impedimento.


-Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari et passavolanti di bellissime et utile forme, fora del comune uso.


- Dove mancassi la operazione de le bombarde, componerò briccole, mangani, trabucchi et altri instrumenti di mirabile efficacia, et fora del usato; et insomma, secondo la varietà de’ casi, componerò varie et infinite cose da offender et di[fendere].


-In tempo di pace credo satisfare benissimo ad paragone de omni altro in architectura, in composizione di edificii et pubblici et privati, et in conducer acqua da uno loco ad uno altro.
 

Item, conducerò in sculptura di marmore, di bronzo et di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de onni altro, et sia chi vole.

 

Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale et eterno onore de la felice memoria del Signor vostro patre et de la inclita casa Sforzesca. 

1) Sono in grado di creare ponti, robusti ma maneggevoli, sia per attaccare i nemici che per sfuggirgli; e ponti da usare in battaglia, in grado di resistere al fuoco, facili da montare e smontare; e so come bruciare quelli dei nemici.

 

2) In caso di assedio, so come eliminare l’acqua dei fossati e so creare macchine d’assedio adatte a questo scopo.

 

3) Se, sempre in caso di assedio, la fortezza fosse inattaccabile dalle normali bombarde, sono in grado di sbriciolare ogni fortificazione, anche la più resistente.

 

4) Se, sempre in caso di assedio, la fortezza fosse inattaccabile dalle normali bombarde, sono in grado di sbriciolare ogni fortificazione, anche la più resistente.

 

5) Sono in grado di ideare e creare, in modo poco rumoroso, percorsi sotterranei per raggiungere un determinato luogo, anche passando al di sotto di fossati e fiumi.

 

6) Costruirò carri coperti, sicuri, inattaccabili e dotati di artiglierie, che riusciranno a rompere le fila nemiche, aprendo la strada alle fanterie, che avanzeranno facilmente e senza ostacoli.

 

7) Se c’è bisogno costruirò bombarde, mortai e passavolanti [per lanciare sassi e ‘proiettili’] belli e funzionali, rielaborati in modo nuovo.

 

8) Se non basteranno le bombarde, farò catapulte, mangani, baliste [macchine per lanciare pietre e ‘fuochi’] e altre efficaci macchine da guerra, ancora in modo innovativo; costruirò, in base alla situazione, infiniti mezzi di offesa e difesa.

 

9) In caso di battaglia sul mare, conosco efficaci strumenti di difesa e di offesa, e so fare navi che sanno resistere a ogni tipo di attacco.

 

10) In tempo di pace, sono in grado di soddisfare ogni richiesta nel campo dell’architettura, nell’edilizia pubblica e privata e nel progettare opere di canalizzazione delle acque.

 

11) So realizzare opere scultoree in marmo, bronzo e terracotta, e opere pittoriche di qualsiasi tipo.

 

12) Potrò eseguire il monumento equestre in bronzo che in eterno celebrerà la memoria di Vostro padre [Francesco] e della nobile casata degli Sforza.

piantina di Milano disegnata da Leonardo da Vinci

Pianta e prospetto della Città di Milano con indicazione delle porte urbane (Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 73 v.).

disegno di Leonardo da Vinci

1482

Inizia in quest'anno e durerà per circa cinque anni lo studio della Madonna del gatto.

Si tratta di una serie di disegni abbozzati da Leonardo, dove emergono le prove di stile dinamico delle figure.

Questi disegni, arrivati sino a noi, rappresentano “il tempo grafico” di Leonardo, ovvero in taluni troviamo una maggiore accuratezza, in altri solo rapide e approssimative proporzioni. Questi disegni sono stati fatti in tempi diversi e probabilmente in stati d'animo diversi, ma tutti rappresentano “la ricerca” stilistica del soggetto da rappresentare su una tela, cosa che purtroppo, non è mai avvenuta in quanto, ad oggi nel 2024, non vi sono evidenze che Leonardo sia passato dalle bozze alla realizzazione del dipinto. 

 

vai alla scheda dell'opera

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Usanze di vita nel Rinascimento   
Il testo “Note di cucina di Leonardo da Vinci” Edizione Voland (Roma) di Shelagh e Jonathan Routh, riporta, che Leonardo da Vinci, nel suo incarico ufficiale presso gli Sforza di Milano, si occupava, fra l‟altro, della cucina di Ludovico Il Moro. Aveva scritto trattati su vari alimenti, sulle erbe medicinali, decine e decine di ricette non solo vegetariane (lui lo era), tormentando il fedele Giacomo Caprotti, soprannominato Salaì, (con l‟accento sulla i, da Sala(di)no <il diavolo>), usato spesso come assaggiatore dei suoi intingoli. 
Costui, di riccioluta presenza, collaboratore, modello e (c‟è chi dice) pittore (o imbrattatele) a sua volta, era descritto dallo stesso Leonardo come uno sciagurato scavezzacollo che ha sopportato fino alla morte, lasciandogli persino in eredità mezza vigna avuta in regalo dal Moro. La sua ben nota ossessione per il miglioramento della forma e consistenza degli spaghetti, la storia della statua del cavallo degli Sforza, che si dispiacque a lungo di non aver terminato. Sarebbe stata la statua di cavallo più grande mai realizzata (forse in competizione con la gigantesca statua del David di Michelangelo?). Ne studiò a lungo anche i problemi di fusione del metallo che avrebbe determinato, inventandosi altre innovazioni. Ho trovato descrizioni, anche esilaranti, che dipingono il quadro della Milano di allora, sempre in sfida con Firenze, per mecenatismo, ambientazione artistica, scientifica e movimentista. Con il permesso della Dottoressa Daniela Di Sora, Editrice della Voland, riporto alcune parti del libro, scritte da lui o da altri autorevoli personaggi.   

“Comportamento sconveniente al tavolo del mio Signore”  

“Queste sono le abitudini sconvenienti che un ospite alla mensa del mio Signore certo non deve avere; ho stilato l’elenco osservando tutti i commensali che si sono seduti a tavola col mio Signore l’anno passato: Nessun ospite dovrebbe sedersi sul tavolo, e neppure con la schiena appoggiata al tavolo, tanto meno in braccio a qualche altro ospite Né dovrebbe mettere i piedi sul tavolo  Nessuno dovrebbe rimanere a tavola troppo a lungo  
Nessun ospite dovrebbe posare la testa sul piatto  
Nessun ospite dovrebbe prendere il cibo dal piatto del vicino senza prima chiedergli il permesso Nessun ospite dovrebbe mettere spiacevoli bocconi mezzo masticati nel piatto del vicino senza prima chiedergli il permesso  Nessun ospite dovrebbe pulirsi il coltello sulla tovaglia del vicino  
Né usare il coltello per incidere il tavolo  
Nessun ospite dovrebbe pulirsi l’armatura a tavola  
Nessun ospite dovrebbe prendere il cibo dal tavolo per nasconderlo in borsa o negli stivali, e mangiarselo poi  
Nessun ospite dovrebbe dare morsi alla frutta e poi rimetterla mangiucchiata nella fruttiera  
Nessun ospite dovrebbe sputare davanti a sé, e nemmeno accanto a sé  
Nessun ospite dovrebbe pizzicare o leccare il vicino  
Nessun ospite dovrebbe tirare su col naso nè dare gomitate  Nessun ospite dovrebbe far roteare gli occhi nè fare smorfie paurose  
Nessun ospite dovrebbe mettersi le dita nel naso durante la conversazione  
Nessun ospite dovrebbe fare modellini, né accendere fuochi, né stringere nodi a tavola (sempre che non lo chieda il mio 
Signore)  
Nessun ospite dovrebbe lasciar liberi i suoi uccelli a tavola, e nemmeno serpenti o scarafaggi  
Nessun ospite dovrebbe suonare il liuto, o qualsiasi altro strumento che possa infastidire il suo vicino (sempre che non lo chieda il mio Signore)  
Nessun ospite dovrebbe cantare, né parlare, né gridare, né fare indovinelli come un ribaldo se c’è una signora accanto 
a lui  
Nessun ospite dovrebbe tramare a tavola (sempre che non sia d’accordo col mio Signore)  
Nessun ospite dovrebbe fare allusioni lascive ai paggi del mio Signore, e nemmeno trastullarsi con loro Nessun ospite dovrebbe colpire gli inservienti (sempre che non sia per legittima difesa)  
E se deve vomitare, che lasci la tavola  
Parimenti se deve orinare”  

“Della corretta disposizione a tavola degli ospiti ammalati”  

“Gli ospiti con le malattie più gravi, e non intendo la peste, ma quelli con la scrofolosi o con il vaiolo, così come quelli deperiti e gli altri coperti di infezioni o ferite aperte, non dovrebbero sedersi (a meno che non siano figli di papi o nipoti di alti cardinali) accanto al mio Signore; stanno bene piuttosto insieme agli uomini di rango inferiore e ai forestieri più illustri, fra i quali possono sedersi. I malati di tosse asinina, con abbondanti secrezioni nasali, quelli con le convulsioni e con agitazioni, gli altri con le allucinazioni, il mio Signore preferisce non averli accanto (a meno che non si tratti di figli di papi o nipoti di alti cardinali), poiché in genere conversando con loro si annoia”.   
E ne ha anche per la posizione a tavola di ospiti con menomazioni, i nani e i gobbi, gli zoppi “e quelli che non riescono a muoversi da soli e vengono inevitabilmente portati a tavola di peso. Come anche chi ha la testa ingrossata o troppo piccola, il mio Signore li trova accettabili e potrebbe anche decidere di sedere accanto a costoro”. Poi ne ha anche per gli appestati.   

“Buone maniere al convito del mio Sire Lodovico e dei suoi ospiti”  

“Il mio Signore Lodovico ha l’abitudine di legare al tavolo da pranzo i conigli che alleva, affinché gli ospiti possano pulire le loro manacce unte sui dorsi delle bestiole; trovo che ai nostri giorni sia cosa sconveniente. Inoltre quando dopo il pasto gli animaletti vengono raggruppati e portati nella lavanderia, la loro puzza impregna tutti gli altri tessuti insieme ai quali vengono lavati. E non mi piace nemmeno la sua abitudine di strofinare il coltello sporco sulla sottana di chi gli siede accanto. Non potrebbe usare la tovaglia come fanno tutti?”.  

Si dice che Leonardo abbia inventato i tovaglioli e le tovaglie uniche, (eliminate queste ultime perché gli ospiti, non ne comprendevano l‟impiego e le usavano per pulirsi stivali ed altre cose).  


Ma anche strumenti per la cucina, come la forchetta a tre denti ed altri attrezzi ed apparecchi vari, come un girarrosto automatico azionato dal fumo e dal calore del camino, un tapis roulant per portare i tronchi al fuoco, una specie di grossa lavatrice di pavimenti a cavalli, dei tamburelli per intrattenere i lavoranti della sua grande cucina, enormi soffietti in pelle che si gonfiavano e sgonfiavano per allontanare i fumi e gli odori, ed altri ancora. 

 

Uno in particolare mi ha colpito, di cui è rimasto un progetto dettagliato. Una attrezzatura, definita “trita manzo”, costituita da tre giganteschi pali, a cui appendere bovini interi per macellarli tra due grandi dischi dentati, fatti ruotare da due uomini, da entrambe le parti dell‟animale appeso. In modo, direi, immaginifico. Un “trita animali” per mangiarli. Lui, vegetariano!! Il progetto di questa imponente attrezzatura, inizialmente nel Codice Windsor, si trova ora nella Biblioteca Trivulziana di Milano. Ma realizzò anche una macchina a doppia lama per tagliare i crescioni del grande orto degli Sforza (trasformata poi in macchina da guerra, dopo che il suo collaudo era costato la vita di 6 garzoni!).   


La sua sconfinata curiosità non si limitava ad approfondire la conoscenza di qualcosa, ma ne faceva progetti, prototipi, sperimentazioni, anche rischiando in proprio pur di conoscerli a fondo. Il suo assunto era: ”non esiste la buona pratica senza la buona teoria”. Un esempio per tutti. Andava negli ospedali e nelle sale mortuarie per sezionare i cadaveri e studiarne le ossa, i muscoli, i tendini, le vene, le giunture. Per comprenderne il funzionamento. I segreti. Anche se questo era quasi sempre vietato dalle leggi di allora. Qualcuno ha ipotizzato che lo facesse per meglio disegnarli e dipingerli. Ma per me era solo una conseguenza ovvia di un osservatore attento. Lo studio del cuore, dei vasi, dei polmoni e delle parti interne del corpo sono la dimostrazione che volesse conoscerne più a fondo il funzionamento. 

 

Questo l‟ha portato a scoperte allora forse sconosciute, come il fatto che la sezione di un vaso aortico fosse uguale alla somma delle sezioni dei vasi in cui si divideva. E la sua capacità intuitiva, ad estendere lo stesso trovato ai progetti idraulici (quello dei navigli di Milano ed altri). Ma anche al settore della Botanica. Che la sezione del tronco di un albero è uguale alla somma delle sezioni dei rami che nascono dal tronco. E molte altre intuizioni che approfondiva sempre.  

“Come deve sedersi a tavola un assassino”  

“Se per il pasto è stato programmato un omicidio, conviene che l’assassino si sieda accanto alla sua vittima (se a sinistra o a destra dipende dal metodo scelto per il delitto), perché se l’azione si svolge in un’area ristretta non si causeranno interruzioni alla conversazione degli altri commensali……”  

Vi risparmio il resto, quasi inverosimile. Ma anch‟esso è rivelatore degli intrighi delle Corti di allora.

 

Fonte : Marco Biffani  

1482

Leonardo ricevette un congruo anticipo da parte di Ludovico il Moro, per la costruzione di una statua equestre, di bronzo, in onore del padre Francesco, fondatore della Casata degli Sforza. Ed egli decise che ne avrebbe disegnata, progettata e fusa una gigantesca, di dimensioni tali da superare quella già famosa di Bartolomeo Colleoni progettata dal maestro Andrea Verrocchio, ispirata da quella del Marco Aurelio o del Gattamelata di Donatello. Che mai nessuno si era mai messo in testa di costruire, anche per le difficoltà che avrebbe presentato la fusione.  Progettato inizialmente il cavallo, come rampante, nell‟atto di attaccare, fu da Leonardo ridimensionato nella postura, per i problemi di statica che avrebbe presentato. Ci lavorò molto, perché la cosa lo intrigava, ma più il tempo passava più si focalizzava solo sulla figura del cavallo. Forse pensava di costruire prima un bell‟animale, e poi la figura del condottiero Francesco che, magari avrebbe progettato in seguito. 

Ci sono moltissimi disegni di cavalli, conservati nella Reggia di Windsor, e nella Biblioteca Nazionale di Madrid, che lui prendeva anche come modelli degli esemplari di pregio che incontrava, ma meno disegni si conoscono del Condottiero.  
Comunque l‟equino doveva essere imponente, elegante, simbolo di forza e potenza (che forse, poi, avrebbe sostenuto l‟onorevole cavaliere trasferendogli la sua autorevolezza). La sua conoscenza dell‟anatomia dell‟animale doveva essere pari a quella che aveva dell‟uomo, frutto dei suoi numerosi interventi sui cadaveri, perché i suoi disegni sono perfettamente uguali al vero.  
E mentre disegnava cavalli, studiava contemporaneamente i problemi di statica della statua sul basamento, di resistenza delle zampe e soprattutto di fusione. Poiché nelle parti sottili delle gambe e della coda, non sapeva se il bronzo fuso riuscisse ad essere sufficientemente liquido da raggiungerle durante il getto, e se fosse necessario aggiungere altro stagno per rendere più fluida la gettata, si inventò di mettere delle piccole cariche di polvere pirica in quei punti che, producendo minuscole esplosioni, gli avrebbero indicato se il bronzo fuso le avesse raggiunte.  


Lavorò accuratamente (ma tanto lentamente, che Ludovico Sforza se ne lamentò con Lorenzo il Magnifico, chiedendogli se poteva inviare a Milano dei tecnici per la fusione, perché Mastro Leonardo sembra tardasse a risolverli) e riuscì a farne un gigantesco modello in argilla (c‟è chi dice in gesso) alto oltre sette metri, che tutti ammiravano. Alle sue richieste di accumulare le 100 tonnellate di bronzo che sembrava necessitassero per fonderlo, ben volentieri Ludovico Sforza lo assecondava. 

Era riuscito a raggiungere la quantità necessaria, quando la minaccia francese a Milano costrinse Ludovico a trasformare quel bronzo in cannoni. Che comunque non servirono perché sembra che, per colpa di una spia, i Francesi di Luigi XII° entrarono facilmente nel castello degli Sforza attraverso una uscita segreta. Cronache dell‟epoca raccontano che le squadracce francesi usarono il suo modello di cavallo come tiro a segno sul quale esercitarsi con le balestre. 

Ma i suoi disegni ispirarono, secoli dopo, un artista collezionista d‟arte e mecenate, Charles Dent, che in quindici anni, dal 1977, accumulò gli oltre due milioni di dollari necessari per realizzarlo. 

Purtroppo morì nel 1994 e, come Leonardo, non riuscì a vedere l‟opera finita. Per fortuna il proprietario di una catena di supermercati, Frederik Meijer, finanziò il progetto avviato dal Dent, con la condizione che si realizzassero due copie, una per il suo Meijer Garden, un parco artistico del Michigan (dove aveva raccolto copie di statue celebri) ed una, sembra, destinata a Vinci. Nina Akamu, una scultrice nota, ne costruì prima un modello più piccolo e successivamente il calco in argilla delle dimensioni definitive, dal quale venne fusa in, bronzo, in sette parti, la statua alta quasi otto metri, attualmente presente nel Meijer Garden. Una copia più piccola fa bella mostra di se, dal 1999, in Milano, dove il cavallo era stato progettato da Leonardo, all‟ingresso dell‟Ippodromo di San Siro ed è il simbolo di un festival internazionale del cinema, il MIFF Awards.


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