PORTALE ITALIANO DI DIVULGAZIONE DELLA VITA E LE OPERE DI LEONARDO DA VINCI
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LEONARDO DA VINCI E LA PITTURA
"raro e universale, che dalla natura per suo miracolo esser produtto dire si puote: la quale non solo della bellezza del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro.
Assai valse in matematica et in prospettiva non meno, et operò di scultura, et in disegno passò di gran lunga tutti li altri.
Hebbe bellissime inventioni, ma non colorì molte cose, perché si dice mai a sé medesimo avere satisfatto, et però sono tante rare le opere sue. Fu nel parlare eloquentissimo et raro sonatore di lira [...] et fu valentissimo in tirari et in edifizi d'acque, et altri ghiribizzi, né mai co l'animo suo si quietava, ma sempre con l'ingegno fabricava cose nuove.»
(Anonimo Gaddiano, 1542)
Leonardo in vita sua non fece mai un affresco, in quanto accettò questi lavori solo per poter sperimentare nuovi modi di affrescare, quindi già con la precisa intenzione di realizzarli alla sua maniera, ovvero senza l’uso della reale tecnica in uso già da secoli.
Nell’ "Ultima cena" egli dipinse a secco con la tradizionale tempera all’uovo trecentesca, con il risultato che il dipinto prese a scrostarsi fin da quasi subito (in un cartaceo si dice dopo soltanto pochi mesi); per la Battaglia di Anghiari invece, memore del fallimento milanese, il grande maestro decise di utilizzare la pittura ad Encausto tipica dell’era romana.
Se avesse però seguito la tecnica dell’Encausto scrupolosamente, l’opera sarebbe riuscita perfettamente, ma il da Vinci non poteva proprio fare a meno di inventare qualcosa di nuovo e pensò bene di fare delle modifiche aggiungendo dell’olio di noce, il quale gli permise è vero di fare sfumature e di dipingere con facilità sul momento come desiderava, ma quando dovette con il calore del fuoco far assorbire il colore all’interno del muro (come richiesto nella lavorazione ad encausto), questo tipo di olio fece colare tutti i colori e rovinò completamente il suo capolavoro pittorico.
Se solamente avesse fatto delle prove di esecuzione prima della reale realizzazione (magari usando i suoi allievi), poteva risparmiarsi l'insuccesso pubblico e noi probabilmente saremmo stati in grado oggi di ammirare questa sua opera da vicino, ma purtroppo il grande genio era sempre di fretta perché doveva guadagnarsi da vivere e contemporaneamente, cercare di non rubare del tempo alle sue nuove invenzioni.
Per meglio approfondire il Lavoro e la metodologia pittorica di Leonardo, consigliamo l'ulteriore approfondimento composto da idee e spiegazioni sulle tecniche pittoriche chiamato Trattato della pittura
I disegni di Leonardo
A differenza della pittura definita, qui potete trovare alcuni disegni, tra i più importanti, chiamati anche "cartoni preparatori" o “bozze”. In taluni casi sono serviti come preparazione vera e propria di un opera pittorica, in altri casi sono rimasti disegni abbozzati di possibili progetti o dipinti mai eseguiti.
Gli scritti autentici di Leonardo sulla pittura
Come sappiamo, Leonardo ha scritto molto sulla pittura e lo possiamo leggere nel suo trattato. Vi sono anche altri scritti di notevole importanza ricavati dai suoi codici, spesso decifrati con difficoltà, ma autentici.
A seguire abbiamo pubblicato alcuni di questi:
Lu. 68
La deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina; imperocchè con libera potestà discorre alla generazione di diverse essenze di varî animali, piante, frutti, paesi, campagne, ruine di monti, loghi paurosi e spaventevoli, che danno terrore alli loro risguardatori, e ancora lochi piacevoli, soavi e dilettevoli di fioriti prati con varî colori, piegati da soavi onde, dalli soavi moti di venti, riguardando dietro al vento che da loro si fugie; fiumi discendenti co' li empiti de’ gran diluvii dalli alti monti, che si cacciono inanti le diradicate piante miste co’ sassi, radici, terra e schiuma, cacciandosi inanzi ciò che si contrapone alla sua ruina; e il mare con le sue procelle contende e fa zuffa co’ li venti, che con quello combattono, levandosi in alto co' le superbe onde, e cade, e di quelle ruinando sopra del vento che percote le sue base; e lui richiudendo e incarcerando sotto di sé, quello straccia e divide.
Lu. 133
Il disegno è di tanta eccelenzia che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite più che quelle che fa natura.
Lu. 33
Della qual pittura li sua scientifici e veri principi, prima ponendo che cosa è corpo ombroso, e che cosa è ombra primitiva e ombra derivativa, e che cosa è lume (cioè tenebre, luce, colore) corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete, le quali solo colla mente si comprendono sanza opera manuale. E questa fia la scienzia della pittura, che resta nella mente de’ suoi contemplanti, della quale nasce poi l’operazione, assai più degna della predetta contemplazione o scienzia.
A. 100r
Come chi sprezza la pittura non ama la filosofia della natura. – Se tu isplezzerai la pittura, la quale è sola imitatrice di tutte l'opere evidenti di natura, per certo tu sprezzerai una sottile invenzione, la quale con filosofica e sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme: aire e siti, piante, animali, erbe e fiori, le quali sono cinte d'ombra e lume; e veramente questa scienzia è ligittima figliola di natura, perchè la pittura è partorita da essa natura. Ma per dire più corretto, direno nipote di natura, perchè tutte le cose evidenti sono state partorite dalla natura, delle quali cose partorite è nata la pittura. Adunque rettamente la dimandereno nipote di natura e parente di Dio.
A. 102v
De 10 ofizi dell'occhio, tutti appartenenti alla pittura. – La pittura s'astende in tutti e 10 li ofizi dell'occhio, cioè tenebre, luce, corpo e colore, figura e sito, remozione e propinquità, moto e quiete; de' quali ofizi sarà intessuta questa mia piccola opera, ricordando al pittore con che regola e modo deve imitare colla sua arte tutte queste cose, opera di natura e ornamento del mondo.
Lu. 10
La pittura s'estende nelle superficie, colori e figure di qualonque cosa creata dalla natura, e la filosofia penetra dentro alli medesimi corpi, considerando in quelli le lor proprie virtù.
An. B 13v (W 19030)
Al pittore è necessario le matematiche appartenente a essa pittura, e la privazione di compagnie che sono alieni dalli loro studi, e cervello mutabile secondo la dirizione delli obbietti che dinanti se li oppongano, e remoto da altre cure.
E se nella contemplazione e difinizione d'un caso se ne l'interpone un secondo caso, come accade quando l'obbietto muove il senso, allora di tali casi si debbe giudicare quale è di più faticosa difinizione e quel seguitare insino alla sua ultima chiarezza, e poi seguitare la difinizione dell'altro; e sopra tutto essere di mente equale alla natura che ha la superfizie dello specchio, la quale si trasmuta in tanti vari colori, quanti sono li colori delli sua obbietti.
E le sue compagnie abbino similitudine co' lui in tali studi, e, nolle trovando, usi con sé medesimo nelle sue contemplazione, che infine non troverà più utile compagnia.
L. 79r
Necessaria cosa è al pittore, per essere bon membrificatore nell’attitudine e gesti che far si possono per li nudi, di sapere la notomia di nervi ossi muscoli e lacerti, per sapere nelli diversi movimenti e forze qual nervo o muscolo è di tal movimento causa, e sol quegli fare evidenti e ingrossato, e non li altri per tutto, come molti fanno, che per parere gran disegnatori, fanno i loro ignudi lignosi e sanza grazia, che pare a vederli un sacco di noci più presto che superfizie umana, overo un fascio di ravanelli più presto che muscolosi nudi.
Lu. 58a
Il pittore debbe essere solitario e considerare ciò ch’esso vede e parlare con seco, eleggendo le parti più eccellenti di qualunche cosa lui vede, facendo a similitudine dello specchio, il quale si trasmuta in tanti colori quanto sono quelli delle cose che se li pongono dinanzi. E facendo cosi, lui parrà essere seconda Natura.
C. A. 76r a
Il pittore che ritrae per pratica e giudizio d'occhio sanza ragione, è come lo specchio, che in sé imita tutte le a sé contra poste cose, sanza cognizione d'esse.
A. 113v
Sommo danno è quando l'openione avanza l'opera.
Lu. 23
Che ti move, o omo, ad abbandonare le proprie tue abitazioni della città, e lasciare i parenti ed amici, ed andare in lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo, la quale, se ben consideri, sol col senso del vedere fruisci?
Lu. 24
L’occhio, dal quale la bellezza dell’universo è specchiata dalli contemplanti, e di tanta eccellenzia, che chi consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carceri, mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le varie cose di natura. Ma chi li perde, lascia essa anima in una oscura prigione, dove si perde ogni speranza di riveder il sole, luce di tutt' il mondo. E quanti son quelli a cui le tenebre notturne sono in sommo odio, ancora ch’elle sieno di breve vita! O che farebbero questi quando tali tenebre fossero compagne della vita loro?
Certo, non è nessuno che non volesse piuttosto perdere l’audito e l’odorato che l’occhio, la perdita del quale audire consente la perdita di tutte le scienze ch'hanno termine nelle parole, e sol fa questo per non perdere la bellezza del mondo, la quale consiste nella superficie de’ corpi sì accidentali come naturali, li quali si riflettono nell’occhio umano.
A. 111v
Come per tutt' i viaggi si pò imparare. – Questa benigna natura ne provvede in modo che per tutto il mondo tu trovi dove imitare.
An. C III 7r (W. 19101)
Quando il poeta cessa del figurare colle parole quel che in natura è in fatto, allora il poeta no' si fa equale al pittore, perchè se il poeta, lasciando tal figurazione, e' descrive le parole ornate e persuasive di colui a chi esso vole fare parlare, allora egli si fa oratore, e non è più poeta nè è pittore; e se lui parla de' celi, egli si fa astrolago; e filosafo e teolago, parlando delle cose di natura o di Dio. Ma se esso ritorna alla figurazione di qualunche cosa, e' si farebbe emulo al pittore se potesse soddisfare all'occhio in parole, come fa il pittore col penello e colore: un'armonia all'occhio, come fa la musica allo orecchio, in un istante.
Lu. 27
Non sai tu che la nostra anima è composta d'armonia, ed armonia non si genera se non in istanti, nei quali la proportionalità degli obbietti si fan vedere o udire?
D. 4v
Che sia vero che ogni parte della popilla abbia virtù visiva, e che tal virtù non sia ridotta in punto come vogliano li prespettivi, cioè che tutte le spezie delli obbietti venghino all'occhio per piramide e si riduchino in angolo, nel quale si fa il giudizio della cosa veduta, – qui la sperienzia mostra in contrario.
Triv. 39r
Il mezzo che è fra l’occhio e la cosa vista trasmuta essa cosa nel suo colore: come l’aria azurra fa che le lontane montagne pàrano azzurre, il vetro rosso fa che ciò che l’occhio vede dopo lui pare rosso.
An. C VI 18r (W 12639r)
Fa che la perspettiua de' colori non si discordi dalle grandezze di qualunche cosa, cioè che li colori diminuischino tanto della lor natura, quanto diminuiscano li corpi in diverse distanzie della loro naturale quantità.
An. C II 6r (W 19076)
L'ombra participa sempre del color del suo obbietto.
Delli termini dell'ombre: in che alcuni son fumosi d'insensibile termini, altri di termini noti...
Se l'è possibile di dare termini spediti e noti alli confini delle ombre.
A. 111v
De l'ombra. – Dove l'ombra confina col lume, abbi rispetto dov'è più chiara o scura e dov'ella è più o men fumosa inverso lume.
Ar. 114r
Dove li alberi confinano coll'aria, essi paiono d'un medesimo colore, se già non fussino molto propinqui e di foglie spesse, come il pino e simili alberi.
G. 53v
La superfizie d'ogni corpo participa del color del corpo che l'allumina e del color dell'aria, che infra l'occhio e esso corpo s'interpone, cioè del color del mezzo transparente interposto infa la cosa e l'occhio.
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